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Banghella del Varthema era la capitale della provincia di Bengala; il suo nome indigeno era Gour ed era per errore che gli stranieri applicavano il nome della provincia alla città capitale (1). In Banghella Lodovico fece conoscenza di alcuni mercanti di Sarnau (2), città soggetta al Gran Khan del Cataio i cui abitanti erano di carnagione bianchi e, al dire dei mercanti, appartenevano alla religione cristiana; anzi affermavano di aver ricevuto il battesimo, di credere nella Trinità, nella passione e morte di Gesù Cristo, nei 12 Apostoli e nei 4 Evangelisti; ammettevano insomma i principali dogmi cristiani. La loro scrittura era da destra a sinistra.

Riservandomi di stabilire in qual parte dell' Asia orientale debba collocarsi la Sarnau del Varthema è fuori dubbio che i mercadanti dovevano appartenere alla setta dei Nestoriani che trovasi diffusa per tutta l' Asia e che fin dai secoli XIII e XIV, i nostri missionari incontravano numerosi e potenti nell' impero cinese.

Scrivendo dei paesi dell' India il viaggiatore bolognese si mostra al solito acuto osservatore. Con dottrina non comune ai suoi tempi tocca delle teorie religiose degli indiani, descrive le cerimonie ed i riti braminici e buddistici e ci dipinge gl' idoli deformi e spaventosi. La divisione delle caste intorno alla cui origine e numero è tuttora gran confusione fra i moderni scrittori di cose indiane riduce a sei, cioè i Bramini o casta sacerdotale, i Nairi gentiluomini e guerrieri, vengono poscia i Iiva artigiani, i Mechor pescatori, i Poliar che raccolgono il pesce, il vino e le noci, gl' Hitava che seminano e raccolgono il riso. Queste due ultime caste non possono accostare Bramini o Nairi a meno di 50, passi,

(1) PERCY BADGER, 210-211.

(2) Vedi innanzi quanto si dice per determinare l'ubicazione di questa città.

e per non imbattersi con individui delle due indicate caste camminano sempre per vie poco frequentate gridando ad alta voce. Queste notizie forniteci dal Varthema non erano nuove però nemmeno per gl' italiani dal suo tempo. La divisione delle caste era stata osservata nelle Indie dai più antichi nostri viaggiatori, essa è una delle più vecchie istituzioni fondamentali della società bramanica, benchè non possa ritenersi una istituzione esclusivamente indiana. Se ne hanno esempi anche nelle antiche società come l'egiziana, la greca e la romana, anzi ne troviamo traccia anche nell'Europa medievale in cui clero, nobili, borghesi o mercanti e servi della gleba formavano quattro distinte caste; in nessun' epoca però ed in nessun paese la divisione delle caste prese tale svolgimento e si concretò nella esistenza religiosa, civile e politica di un popolo come nell' India. Non deve poi far meraviglia se i nostri antichi viaggiatori non sono concordi nel determinare il numero delle caste, quando gli stessi moderni sono lungi di accordarsi fra loro; basti l' esempio che ne porge un documento ufficiale inglese del 1865 concernente il Nord-Ovest dell' India nel quale si enumerano ben 560 suddivisioni di caste. Ad ogni modo può ritenersi che le quattro principali sono nell' India le seguenti: Bramini o sacerdoti, Xatrias, Nairi, Ragiaput guerrieri o nobili Vaissias, mercanti, operai ecc. (casta oramai spenta), Sudras la casta impura o servile che forma i/o della popolazione (1).

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Non dimenticò il Varthema di accennarci l'uso della poliandria, la successione dei figli delle sorelle a preferenza dei propri, l'ustione delle vedove, i combattimenti dei galli, l'a

(1) Ľ origine delle caste vuole spiegarsi con la conquista dell' India compiuta dalle stirpi Ariane più intelligenti e civili in paragone degli Indiani aborigeni, rozzi e senza organamento politico. Il Bramanismo poi consacrava con i suoi precetti la linea di separazione fra conquistatori e soggiogati.

bitudine di masticar betel e cento altre usanze peculiari di quella antichissima nazione, usanze che oggi ancora sono vive specialmente in quelle regioni, che trovandosi più segregate dal contatto europeo, hanno potuto fin qui serbare quella impronta caratteristica di un antico stato sociale, che ogn giorno tende maggiormente a scomparire.

IV.

Unitosi in comitiva con i predetti mercanti cristiani Lodovico lasciava Banghella facendo vela per il Pegù che con grande esagerazione pone distante mille miglia mentre in realtà non oltrepassa le cinquecento (1). Appena vi giunsero fermarono col persiano di presentarsi al sovrano; questi trovavasi a quei di impegnato in guerra col re di Ava per cui i due viaggiatori furono costretti di andarlo a raggiungere quindici giornate lontano. Riusci loro una sera di ottenere udienza ed il bolognese rimase stupito al magico spettacolo che offrivano al lume notturno le numerose gioie e l'oro ond' era tutto coperto il Monarca asiatico. La sua meraviglia traspare chiaramente dal seguente passo; « Et porta più rubini adosso che non vale una città grandissima: et li porta in tutti li deti de piedi. Et nelle gambe porta alcune maniglie d'oro grosse tutte piene de bellissimi rubini: similmente li bracci: et li deti delle mani tutti pieni: le orecchie pendono per il gran contro peso di tante gioie che vi porta per modo tal che vedendo la persona del re al lume de nocte luce che pare un sole (2) ».

I due mercanti riceverono dal sovrano le più belle accoglienze; egli acquistava tutti i coralli che aveano portato ricambiandoli con due manciate di rubini; erano circa duecento e vennero valutati, a detta del Varthema, in cento mila du

(1) Itinerario, c. 94 verso.

(2) Itinerario, c. 96.

cati! Il re del Pegù passava per doviziosissimo; le sue entrate ammontavano ad un millione di ducati d'oro. Il paese parve al Varthema in floride condizioni e notò, fra le altre, l'abbondanza della seta, del cotone e di preziosi legnami come il sandalo ed il verzino.

Dal Pegù fece vela per Malacca tributaria dell' imperatore della Cina « el qual fece edificare questa terra circa 80 anni fa per esser li bon porto el qual è il principale che sia nel mar Oceano, (1) ». Anche il Corsali, che viaggiava in Asia fra il 1515 e 1517, conferma l'origine cinese di Malacca e l'importante commercio che vi faceano le giunche. Il Varthema distinse nei suoi abitanti il tipo della razza malese, colore scuro olivigno, viso largo, occhio rotondo e naso ammaccato. Fece anche una visita alla vicina isola di Sumatra che con errore comune ai viaggiatori del suo tempo, confonde con la Taprobana (Ceylan) degli antichi. Pare che il Varthema sia il primo viaggiatore che riporti il nome dell'isola (2) come oggi da tutti si scrive e che vorebbesi derivare dal sanscritto Samudra che suona mare oceano. Fra gli antichi viaggiatori italiani Marco Polo designava Sumatra, a sensi dei suoi commentatori, col nome di piccola Iava (3); Oderico da Pordenone, seguendo gli arabi, la chiamava Lamori da uno stato importante con questo nome; il Conti accostandosi al vocabolo sanscritto, Sciamuthera.

La sovranità dell' isola parve al Varthema divisa fra quattro

(1) Itinerario, c. 98.

(2) Lo afferma il Crawfurd, nel Descriptive Dictionary of In. of Sumatra. Il nome Sumatra che da prima pare fosse dato ad uno dei regni in cui essa era divisa ed anche alla città che nè era capitale, venne in seguito a prevalere applicandosi a tutta l'isola.

(3) Anche l'arabo Ibn Batutah (1330) chiama Iava l'isola di Sumatra applicando questo ultimo nome o meglio Sciamatra alla città capitale dell'isola. Giava poi è da lui indicata col nome di Mul-Iava.

re (1), ma credo prenda abbaglio, poichè gli storici ammettono in quell'epoca un maggior numero di stati sovrani nell'isola principali erano Atscin, Siak e Bantam. La moneta d'oro che vi correva portava da un lato « un diavolo e dall' altra » banda un carro tirato da Leophanti (2) È superfluo il notare che il diavolo era una di quelle divinità indiane che ⚫ hanno veramente gli aspetti i più deformi e spaventosi.

Mentre trovavasi in Sumatra ricercò da quei mercanti notizie per sapere dove nascevano le noci moscate ed il macis e da quelli potè apprendere che trecento miglia lontano era un isola donde si estraevano quelle spezie. Queste informazioni spronarono la curiosità di Lodovico a condurvisi per cui intesosi con i suoi compagni fermarono di provvedersi di due piccoli bastimenti chiamati Chiampane, che comperarono per 400 pardai. Queste navi erano state loro indicate come le più acconcie per navigare in quel mare insidioso, seminato di scogli e di bassi fondi.

Avendo messo alla vela ed inoltrandosi per quei mari incontrarono una ventina d'isole, alcune abitate, altre deserte e dopo quindici giorni di navigazione approdarono all'isola di Bantam: il bolognese le assegna 500 miglia di circonferenza; la trovò molto bassa, di aspetto triste ed abitata da popolazione rozza e bestiale. Quivi nasce la noce moscata il cui albero come sarà discorso più innanzi ci viene esattamente descritto dal Varthema (3). Dopo altri sei giorni di navigazione giunse all'isola Monoch dove nascono i garofani; è più piccola di Bantam e la gente vi è anche più bestiale.

(1) Itinerario, c. 99.

Sulla divisione degli stati dell'isola di Sumatra ai tempi del Varthema poco accordo è fra gli scrittori. Il BARROS parla di 9 regni in cui divideasi Sumatra all'epoca della venuta dei portoghesi.

Marco Polo ne conta otto.

(2) Itinerario, c. 99.

(3) Itinerario, c. 103.

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