Imágenes de páginas
PDF
EPUB

nomina: aymericus constabularius. henfredus toroni, hugo martini marescalcus. aymericus de river. raynerius de gibelet. galterius lebel. odo de mayri. Actum in Nicossia. anno dominice incarnationis MCXCIII. indictione XII epacta xxvII. xvIII kalendis septembris.

Nos frater petrus miseratione divina archiepiscopus appamiensis notum facimus universis christifidelidus quod nos presens scriptum sicut superius expressum vidimus et inspeximus diligenter de verbo ad verbum sine aliqua diminutione in autentico contineri quod ut ratum habeatur et firmum ipsum scriptum duximus presentis bulle nostre municione roborandum.

Nos frater G. miseratione divina archiepiscopus manustanus (?) autenticum huius exempli vidimus et legimus de verbo ad verbum sine aliqua diminutione auscultavimus et ad majorem securitatem nostram bullam apposuimus.

Qui siquidem egregius dominus vicarius sale superioris visis et diligenter inspectis supradictis originalibus privilegio apostolico et sumpto seu vidimus dicti privilegii regalis ac presenti suprascripto transumpto cum ipsis originalibus in presentia et de mandato dicti domini vicarii de verbo ad verbum fideliter auscultatis et debite collationatis per nos infrascriptos notarios. mandavit et decrevit hujusmodi privilegium apostolicum sive particula suprascripta ex eo sumptu ac transumptu dicti privilegii regalis transumi seu transcribi et registrari et in actis curie sue autenticari et in hanc publicam formam redigi per me andream de cario notarium publicum et scribam curie dicti domini vicarii infrascriptum volens et mandans quod hujusmodi transumpto pubblico de cetero adhibeatur plena fides ubique locorum in iudicio et extra ac talis et tanta qualis et quanta dictis originalibus privilegio et sumpto data sunt et adhibita seu de iure datur et adhibetur ubiquibet et quotiens originaliter producerentur premissisque universis et singulis suam et comunis ianue auctoritatem interposuit pariter et decretum. mandans discretis viris dominico de bargono et petro de facio notariis et etiam scribis curie dicti domini vicarii ut huic transumpto una cum dicto notario suprascripto hic se subscribant in fidem et testimonium premissorum.

Actum janue in sala superiori palacii causarum comunis ad bancum juris solitum dicti domini vicarii sale superioris ipso ibidem pro tribunali sedente, anno a nativitate dominica мCCCCLVI indictione quarta secundum janue cursum die vero sabbati quarta mensis decembris post vesperas. presentibus ibidem honorabilibus et discretis viris dominis thoma de recho de levanto et oddo de ceva lunensis et albensis diocesis presbiteris ac

augustino de ripalta cive januense testibus ad premissa vocatis specialiter et rogatis.

(Seguono le autenticazioni dei notari: Andreas de Cario q. Nicolai, dominicus de bargono q. Raflael, petrus de facio q. philippi).

DUE LETTERE INEDITE DI ANTONIO CESARI

Antonio Cesari stanziò in Genova dal 5 al 9 ottobre 1827. Già sul cadere del settembre aveva manifestato il suo vivo desiderio di visitare questa città, all' amicissimo Antonio Chersa, chiaro latinista raguseo, il quale da tempo era legato in consuetudine amichevole col Gagliuffi e col marchese Gian Carlo Di Negro, ch' egli avea conosciuti di persona quando più anni innanzi erasi recato a Genova ad incontrare il fratello Tomaso, reduce da Roma, pur egli valente letterato. Il quale « in Genova non fu testimonianza, osservanza ed onore di che non fosse largamente colmato: conciossiachè quivi (essendovi egli assai raccomandato dalla gentilezza e dottrina sua), ebbe l'onore della dimestichezza ed amicizia di tutti coloro, che in opera di scienze e di lettere aveano voce di sommi: tra' quali fu de' primi Giuseppe Solari; uomo che in fatto di erudizione, o di poesia, o di filosofia, o di matematica, entrava senza contraddizione innanzi a tutti di quella città » (1). E devesi forse ascrivere al Chersa, se il Cesari già contava in quella città amici, ch' ei non conosceva se non per via di lettera (2).

In qual guisa venisse accolto e festeggiato dai suoi Filippini non è dire; e vago come egli era di osservare i monumenti, le chiese, gli edifici onde s' abbella la città, fu una

(1) CESARI, Elogio di T. Chersa.

(2) CESARI, Lettere racc. dal Manuzzi, I. 153, 155.

gara fra que' religiosi nel porgergli ogni maniera d'uffizi. E ben sapendo quanto onorevole fosse noverare nel lor sodalizio tanto uomo, vollero che i letterati tutti genovesi conoscessero di persona, chi già cotanto onoravano per fama. Ed incontanente condussero il Cesari appo il Di Negro, in quella bella villetta dove convenivano i più fioriti e colti ingegni della città, e dove ospitavano gli illustri d'altronde: luogo al tutto sacro alle muse e che vivo manteneva l'amore agli studi, procacciando non lieve onoranza alla patria. Oltra ogni dire egli rimase ammirato e della nostra Genova e delle gentili maniere onde fu accolto dal Di Negro; quindi è che scrivendo ad Antonio Chersa usciva in queste parole: « Genova superò ogni mia espettazione, e mi scosse meraviglia della bellezza del suo porto, magnificenza de' palagi, postura di sito e vaghezza di deliziosi prospetti. Se non che debbo dire; quello che a pezza me la rendette più cara e più bella, fu la cortesia smisurata e le infinite carezze fattemi dal signor Gian Carlo Di Negro; che mi beatificò della sua meravigliosa villetta posta dentro della città, che è veramente un fascino ed un teatro di tutte eleganze » (1). Ed avendo il cav. Bocci, console di Toscana, aperto il desiderio di conoscerlo al Di Negro; questi lo condusse a lui, ed il Cesari afferma come il trovasse uomo di squisito gusto e giudizio in opera di bella letteratura (2). Volle altresi rimanesse a testimonio di si fatte bellezze e di tanta cortesia il seguente sonetto, quasi fatto all'improvviso al pranzo datogli dal Marchese:

Dal mar cui signoreggia ardua, dal monte
Scoglioso, ove tien fitto altera il piede,
Alza in ricchi palagi, onde il ciel fiede,
Genova per miracolo la fronte.

(1) Lett. cit., I. 154.

(2) Lett. cit.

Di tutte grazie albergo elette e conte
La villetta Di Negro ha qui sua sede,
Che d'Armida ai giardin punto non cede,
E d'aspro irato ciel non teme l'onte.
Non può la calda e viva fantasia

Di si rare bellezze ornar la scena,
Che da lor vinta al paragon non sia:

Ma nulla è ciò: chi vide esta sirena

Del cor di Carlo, e l'alta cortesia,
D'ogni altro bello si ricorda appena.

Cui fu risposto con questi bellissimi distici estemporanei dal Gagliuffi:

Quod tibi spectaclum dat villa Nigraea videndum

Laudarunt alii, nomina clara, viri.

Tuque hodie hunc mirum naturae atque artis honorem
Illustras plausu, vir venerande, tuo.

Et qui te praesens praesentem amplectitur hospes
Hunc sibi felicem praedicat esse diem.
Gestaturque suam caro cum conjuge natam,

Et laetum hunc quotquot laeti adiere locum.
Quin (nam vidisti), varia inter marmora (lectas
Delicium italicae Pallados effigies),

Tu quoque marmoreum, non fallor stare jubebit,
Et decus adquiret villa Nigraea novum.

Rimase poi tanto preso d' ammirazione per l'istituto dei sordo-muti, e pel suo fondatore il P. Assarotti, che tornato appena a Verona in uno splendido ragionamento, recitato nella sua congregazione, volle mostrare l'utile di sì benefica istituzione, porgendo a chi se n'era fatto promotote in Genova quelle lodi alle quali ha giustamente diritto.

Il Giornale Ligustico, i cui scrittori erano parte precipua delle geniali adunate in casa Di Negro, tramandò ne' suoi eruditi volumi onorevole memoria della dimora del Cesari in

questa superba metropoli (1); e quei socj cooperatori il proseguirono di meritate lodi esaminandone alcune opere (2), e si pregiarono pubblicarne pei primi prose e poesie (3); nè dimenticarono difenderne la memoria, facendo noto ai lettori le disoneste scritture del Villardi, e le generose dell'illustre abate Manuzzi e del Parenti (4).

Ecco come discorre il prof. Antonio Bacigalupo della cooperazione d'un tanto uomo a quel giornale: «Allorchè io dirigeva il Giornale Ligustico, ch' ebbe principio del ventisette, m' avvenne di dover carteggiare con ben parecchi uomini di lettere, ed usai sempre ogni cura e diligenza per avere a collaboratori i più illustri ed eccellenti ch' io sapessi e potessi, e maggiormente di que' di fiorissero per fama d'ingegno e di squisita letteratura. Nel che di tanto fummi la sorte amica, che sotto a quel vessillo potei vedere raccolti un Cesari ed un Colombo, benchè il primo (oh sciagura delle cose umane!) non mi venisse prima ritrovato, che tolto per morte alle lettere e al desiderio comune » (5). Infatti egli moriva il 1.o ottobre 1828, e fra le inedite poesie autografe del Bacigalupo y'ha, con la data de' 16 giugno 1829, uno strano sonetto in morte del Cesari, composto coi più straordinari arcaismi ed idiotismi dei primi poeti volgari. Eccolo:

Lo die che andoe del corpo il lumen crero

Dello aggenziato partacar scoffetto,

Omne om che zentil quore hae nello petto
Micidar spata fedio d'ajo fero.

(1) Giorn. Lig., fasc. 5, 1827, pag. 548, fasc. 1.o del 1828, pag. 43. (2) V. Giorn. cit., fasc. 1, 2, 3 e 5 del 1827; , 3 e 4 1829.

(3) V. note alla tettera II.

(4) Giorn. cit., fasc, 8 del 1828, pag. 590.

(5) Lettere inedite di A. Cesari, M. Colombo ecc. Genova, Pellas 1841, P. VIII.

« AnteriorContinuar »