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Così di Gneo Pompeo figlio conosciamo l'effigie nel celebre intaglio in aquamarina coll' epigrafe AгАOOПOIC EПOIEI già nel Museo di Firenze (1); nè sfuggì all'occhio competentissimo del Visconti come una testa marmorea, al naturale, scoperta in Roma sullo scorcio del secolo scorso, e da lui pel primo descritta ed illustrata (op. cit., I, p, 180) offrisse tale rassomiglianza colle sagome di Gneo, quali ci vengono esibite da questa gemma e dal nummo in discorso, da autorizzare l'attribuzione della stessa al primogenito del Gran Pompeo.

Vero è tuttavia che le gemme e i marmi ora citati non potevano ricevere una attribuzione iconografica se non col confronto dell'aureo di S. Pompeo; oltreché ai tempi dell' Orsini nè le une nè gli altri erano peranche conosciuti di che tanto maggior pregio dovea l'aureo stesso acquistare agli occhi del romano antiquario, in quanto che questi, oltre al coltivar con passione e trattare con non volgare dottrina gli studi numismatici, proseguiva, come è ben noto, di particolare predilezione quella appunto fra le discipline archeologiche la quale ha per oggetto di travagliarsi intorno alla notizia ed alla investigazione dei ritratti degli antichi uomini illustri; disciplina che dietro iniziativa di Gio. Angelo Canini e per l'autorità di E. Q. Visconti, ricevette poi la denominazione universalmente accettata di Iconografia antica, e della quale l'Orsini, per bocca dello stesso Visconti, è oggi a buon dritto e senza contrasto proclamato padre.

Sembra che il cambio proposto dal Mocenigo siasi poi effettuato, sebbene non consti delle ulteriori condizioni a cui accenna in genere l'Orsini: imperocchè l'aureo di Sesto Pompeo facea parte più tardi del medagliere del Museo Farnesiano, e come tale figura nella tv. I, n. 1, dei Cesari in oro del P. Pedrusi, onde si può ragionevolmente argomentare esser quello lo stesso esemplare che esiste oggi nel Museo Nazionale di Napoli, registrato dal Sen. Fiorelli al n. 3134 del Catalogo delle monete romane del medesimo.

L'apprezzamento di tal nummo indicato da Fulvio Orsini in 25 scudi d'oro può somministrare un utile dato per la conoscenza della rarità e del valore commerciale delle antiche monete in tempi e luoghi diversi. La stessa moneta, infatti, veniva valutata ai tempi del Mionnet (De la

(1) Fu dapprima presso il Sabatini in Roma, d'onde passò nella Collezione dell' abate Andrea Andreini in Firenze e da questo nel Museo Granducale. Pubblicato dal Maffei (Gemm, ant,, tv. 1, n. 6), dallo Stosch (tv. V), dal Gori (Mus. Flor., II, tv. 1, 2), dàl Bracci (tv. VII) e da altri. Cf. Lippert, Dactylioth. univers., II, 516; De Murr, Bibliotheca Glyptographica, P. 43, Raspe, Catalogue de Tassie, 10772; Winckelmann, Cab. Stosch, cl. IV, 189; Visconti, op. varie, II, p. 121, 303; T. Biehler, Ueber Gemmenkunde, Wien 1860, p. 48.

rar. et du prix des méd. rom., I, p. 87) lire 400. Nel 1843, il Riccio (Le mon. delle ant. fam. di Roma, p. 183, n. 18, 19), al quale però nno erasi presentata occasione di trattar del suo acquisto, la estimava in Napoli piastre 30 = 1. 153. Più recentemente, il Cohen con criteri desunti dalle vendite pubbliche effettuatesi ai suoi giorni in Parigi le assegnò il prezzo di 1. 600 (Descr. gen. des monn. de la Rep., p. 263, n. 27. Descr. hist. des monn. imp., I, p. 20): ma questa stima, trattandosi d'un esemplare in buon stato di conservazione, è oggi ritenuta insufficiente anche dal Boutkowski, il quale nella citata sua opera in corso di stampa (Dictionn. numism., p. 99, n. 238) la porta a 1. 800. Si può aggiungere in proposito che a Londra nella vendita della collezione Pembroke (1818), un esemplare di detta medaglia venne pagato lire sterline 33, e in quella della collezione del Duca di Devonshire (1815) un altro esemplare della stessa raggiunse l'egregio prezzo di lire sterline 40 e scellini 19 = 1. 1025.

ALLO STESSO.

Ill.mo et R.mo S.re

Aniello Turtolo fu mio grande amico, mentre visse, et poco innanzi che morisse questi giorni m' havea promesso la medaglia Agrigentina, quale poi Gioseppe suo fratello, continuando nell' amicitia, et havendo ricevuto piacere da me, me l'ha donata, siccome havrebbe fatto ancora della IVLIA et MESSALLINA, se non fosse stato prevenuto dal Thesoriere; et io l'ho mandata a V. S. Ill.ma come medaglia rara et bella, per supplicarla che mi favorisca riceverla da me, et aggiongerla all' altre dello Studio suo. Quanto alle medaglie d'argento et di bronzo che sono restate al detto Gioseppe, io non ne ho ancora hauto nota, perchè dovendo fra poco lui essere in Roma, le porterà seco, et all' hora io vederò quello che vi sia per V. S. Ill.ma, la quale serà padrona del tutto. Ero stato richiesto da quest' huomo di farli havere una lettera di raccomandatione da V. S. Ill.ma all' Arcivescovo de Napoli, ma io ho supplito questa volta col Car.le Caraffa,

per non dare questa noja a V. S. Ill.ma Alla quale humilissimamente bacio le mani.

Da Roma a' XIX di luglio 1576.

Di V. S. Ill.ma et R.ma

Obligatis.mo ser.re
FULVIO ORSINO.

Non consta quale fra 161 monete di Agrigento oggidi esistenti nel Museo Nazionale di Napoli (non tenuto conto della collezione Santangelo di recente acquisto), delle quali una parte appunto proviene dal Museo Farnese (Fiorelli, Catal. delle mon. gr., I, 3906-4066), sia quella di cui parla l'Orsini come derivatagli dall' amico Aniello Turtolo.

Parimenti è ignoto a quali medaglie di Giulia e di Messalina egli accenni più sotto. Non sarà tuttavia fuor di proposito ricordare come la Giulia di Tito fosse rappresentata nel medagliere Farnese dal denario argenteo col rovescio di Venere Vincitrice (Pedrusi, I Ces. in arg., II, tv. XXII, 9), dal gran bronzo, restituzione di Domiziano, col rovescio del carpentum (Id. I Ces. in met. gr., VI, tv. XVII, 5), dai bronzi mezzani coi rovesci di Cerere, di Vesta, e della testa di Tito, quest' ultimo coloniale greco (P. Piovene, I Ces. in met. mezz. e picc., IX, 16, 17, 18). Così di Messalina, della quale non esistono coni romani, sappiamo dal Pedrusi (VIII, tv. XVIII, 1) esservi stato in quel medagliere un piccolo bronzo col rovescio fregiato della testa di Claudio, di colonia greca incerta, probabilmente Corinto.

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È molto tempo che io hebbi dall' Abbate Pucci un diaspro ligato in oro, dove è intagliato il porto di Traiano. Et mi disse haverlo hauto dalla casa Salviati, che l' hebbe già dal Lascari. Èmmi hora capitato un altro diaspro simile a fatto, che fu del Maffeo, dove è intagliato il Circo Maximo, et sono venuto in openione che queste due memorie sieno fatte per Traiano Imperatore, quale restaurò l'uno et l'altro edificio.

L'ho dedicate al Studio di V. S. Ill.ma, et le mandarò a Caprarola se intanto mi commandarà che io faccia ligare questo del Circo, come è quello del Porto.

Bacio humilmente la mano di V. S. Ill.ma della gratia che mi ha fatto dello strame et della rimessa per il cocchio, et la supplico, che, se vero è che questa rimessa mi possa esser tolta nel ritorno suo, si degni confirmarmela, con darne ordine che non mi sia levata; overo, concedermi un poco di sito et di materia, che ne possa fare un' altra a mio costo. Perciochè non saprei dove più voltarmi, havendo cercato con ogni diligenza tutto questo vicinato. Et il pigliare casa fuori, saria scommodo a V. S. Ill.ma, et spesa a me. Però io la supplico di questo, come di gratia che sia per farmi, consistendo in essa quasi il tutto della sanità mia. La qual gratia devo ragionevolmente sperare da V. S. Ill.ma in questa casa, nella quale ho servito tanti anni, et ho animo, quando a Dio piacerà, lasciare qualche memoria ancora della servitù mia. N. S.re Dio conservi V. S. Ill.ma felicissimamente.

Da Roma a' XVII di luglio 1580.

Di V. S. Ill.ma et R.ma

obligatis. ser.re FULVIO ORSINO.

La rappresentazione dei porti di mare non è subbietto straniero all'antica iconologia gliptica; in prova di che mi limito a citare la celebre corniola Ficoroniana (Fr. Dolce, DD, 21) con porto munito di grandioso antemurale o faro che creder si voglia, e tre navigli, uno dei quali sul punto di imboccare il porto (1).

Il diaspro di cui è cenno nella presente lettera offriva probabilmente una riproduzione del rovescio di note monete battute sotto il V e il VI consolato di Traiano, col tipo del porto interno d'Ostia costruito da questo imperatore in aggiunta all'esterno di Claudio. Questo porto, o

(1) Nella sua descrizione delle gemme Stoschiane, il Winckelmann registra non sette intagli con rappresentanze di porti di mare (cl. VI, 52-55, 57-59).

meno di

bacino, in cui veleggiano tre navi, è circondato da grandiosi fabbricati ad uso di magazzini: intorno corre la leggenda PORTVM TRAIANISC (Cohen, II, 365, 366).

Più comune è sulle gemme la rappresentazione del circo e dei giuochi circensi. È nota la passione spinta alla frenesia (insania et furor circi) dei Romani per questi giuochi: e s'intende come coloro i quali avessero riportata qualche vittoria circense amassero fregiare di una rappresentazione relativa alla medesima il proprio anello segnatorio onde ostentare il ricordo d'un avvenimento che costituiva per essi un titolo ambitissimo di distinzione: senzachè, le rappresentanze circensi venivano adoperate eziandio in senso simbolico, come è provato da molti monumenti. La rappresentazione del Circo Massimo, in quanto restaurato da Traiano, ricorre nella serie numismatica imperiale, vuoi in forma di personificazione, cioè sotto la figura d' uomo giacente con le mete sulle anche e appoggiato col gomito destro ad una colonna; vuoi in forma architettonica, come sul rovescio di gran bronzo coniato sotto il V consolato di detto Imperatore (Cohen, II, 493, 494). La prospettiva del Circo Massimo su questo bronzo presenta all' esterno e sul dinanzi un primo piano composto d' una serie di dodici grandi arcate, a destra altra grande arcata sormontata da analoga quadriga di fronte; al secondo piano, di dietro e da ciascun lato, simile arcata sormontata da analoga quadriga di fronte e un tempio a quattro colonne sormontato da statua; nell' interno del circo, in mezzo, il grande obelisco, e da ciascun lato un gruppo di tre obelischi minori; a sinistra del grande obelisco un cavaliere, e a destra una piccola barriera che segna il termine delle corse.

È plausibile congettura che il diaspro indicato da Fulvio Orsini come già appartenuto al Maffei (l'autore delle Gemmae antiquae) esibisse una analoga rappresentazione, se egli la credette riferibile appunto a Traiano: niuno ignorando, del resto, che le gemme non di rado riproducono più o meno liberamente e talvolta persino in modo servile i tipi delle medaglie, specialmente imperiali, contemporanee (cf. le mie Iscrizioni gemmarie, 2.a serie, n. 52). Questo parallelismo fra le due serie numismatica e dattiliografica trova la sua ragione anche in ciò che tanto gli autori dei coni quanto gli artisti litoglifi attingevano spesso i loro soggetti da famosi archetipi di pittura, scultura e toreutica allora esistenti; di che riesce tanto più incomprensibile come altri (1) traesse argomento

(1) Questo altri non è però l'Eckel, siccome erroneamente fu asserito dal Visconti (Impr. Chigi, 12). Nel passo da questi citato, l' Eckel non ha punto sollevato dei dubbi sull'autenti

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