Imágenes de páginas
PDF
EPUB

e non mai avendo potuto ottener detta pace, benchè cardinali e gentiluomini abbiano procurato di ottenergliela, ed essendo per suoi demeriti detto capitano a sua volta bandito, supplica per aver rimessione dell'esilio e poter ritornare a Roma ove intende finire i suoi dì.

Il memoriale fu passato semplicemente al Governatore.

IV.

(Senza data). Il capitano Claudio Liceti genovese, che ha servito S. S. nell' armata navale sotto il comando dell' Ecc.mo signor Principe Ludovisi qual ingegnere, e nel campo di Toscanella qual capitano di artiglieria, espone al Governatore di Roma che fu minacciato di due schiaffi da certo Erasmo Ballada e domanda perciò una prudente correzione allo stesso.

Il Governatore ingiunse al suo notaro di riparlargliene.

V.

(1669). Gio. Battista Orero, Salvatore Giacinto Savignone e Antonio Maria Grimaldi, turchi fatti cristiani, espongono a S. S. Clemente IX che essendo schiavi di padroni omonimi genovesi, ai quali servirono per molti anni, per liberarsi dalla dura servitù erano fuggiti riparando a Roma ad acclamare la libertà nel Campidoglio. Per mancanza di ricapiti, prima di poter riuscire nel loro scopo furono catturati dal Governatore di Roma, ad istanza dei loro padroni.

Avendo udito che S. S. aveva approvato che venissero restituiti, supplicano il Papa di loro permettere di restituire ai padroni il prezzo della loro compera ed aver così la libertà. Fanno presenti i pericoli sfuggiti nel lungo viaggio, e il timore di essere puniti con la galera o di esser condannati alla galera o alla morte se restituiti, onde il loro castigo serva di esempio in Genova ad altri schiavi che intendessero fuggire.

Il Papa, trasmettendo il memoriale al Governatore, gl' ingiungeva di parlargliene in ordine alla sicurezza dei supplicanti.

Il nobile Grimaldi, l' Orero ed il Savignone genovesi, tutti tre con speciale memoriale al Papa, domandano l' estradizione e restituzione dei loro schiavi; e l'ottengono.

VI.

(1669). Giuseppe Grimaldi nobile genovese espone a S. S., che i tre schiavi stati restituiti con obbligo ai padroni di non maltrattarli nè venderli in galera sotto pena di 200 scudi, salvo nuova cagione, presero tanto

[ocr errors]

ardire da non voler più faticare, e per di più diventarono insolenti contro i loro padroni. Fu perciò costretto di porre il suo schiavo in custodia nel nuovo Albergo di Carbonara, luogo pio dove si mantengono moltissimi poveri. Quello dell' Orero, che è fratello dello schiavo su accennato, andò ad istigarlo a fuggire di là, così che il Savignone dovette farlo porre alla catena. Quando incatenati ricorsero a Roma per avere i 200 scudi, credendo la multa spettare a loro, ciò fecero a consiglio della madre pure schiava dell' Orero. Infatti venne ordine dal Papa al Savignone di pagare la multa, che sborsò. Un nipote del Savignone credendo che l' Orero non fosse estraneo a tale condanna, per vendicare il zio uccise esso Orero. Intanto lo schiavo fu liberato secondo il desiderio del Papa.

Il Grimaldi, venendo al suo schiavo, nota che diportandosi come gli altri due, acciocchè non fosse di malo esempio a sette altri schiavi che teneva, risolse di mandarlo a Cadice per venderlo a mezzo di Stefano Pallavicino. Giunto colà, lo schiavo per non esser comprato diceva a tutti che egli non era buono a nulla; così che dovette essere ricondotto a Genova. Qui insolentendo più che mai, fu costretto il Grimaldi a metterlo nelle pubbliche prigioni; e perciò ricorre al Papa per avere il permesso di venderlo in galera. Crede che il timore di esser venduto in tal modo possa farlo ritornare docile e servizievole.

Negando questa grazia, si pregiudicherebbe « l'avvenire ad un gran numero d'anime infedeli, perchè essendosi in Genova fatto assai famigliare l'uso degli schiavi, delli quali se ne servono non solo li nobili ma anco li cittadini ordinarî, al presente ve ne sono in buon numero, ed ognuno per la solita pietà della natione procura di ridurli alla fede cattolica ». Gli schiavi fuggirebbero ritornando alla religione maomettana, e non si farebbero più compere.

Il Papa, a dì 9 ottobre 1669, risolse di far scrivere all'Arcivescovo di Genova pro informatione et voto.

(2 novembre 1669). L'Arcivescovo di Genova risponde al Governatore di Roma esser vero quanto scrisse il Grimaldi nel memoriale comunicatogli; ma non si pronuncia, nè dà alcun voto.

Pare pertanto che da Roma siasi accordato il permesso di vendere lo schiavo ribelle, non trovandosi ulteriore cenno di questo affare.

A. BERTOLOTTI.

ANNUNZI BIBLIOGRAFICI

La Prise d'Alexandrie, ou Chronique du Roi Pierre Ier de Lusignan, par GUILLAUME MACHAUT, publiée pour la première fois pour la Société de l'Orient Latin par M. L. DE MAS LATRIE. Geneve, Impr. Jules-Guillaume Fick 1877. Un vol. in 8.vo

Con questo volume la benemerita Società dell' Oriente Latino ha iniziata la serie storica delle sue pubblicazioni; e. noi vorremmo darne minuta contezza, se i brevi confini del Giornale Ligustico non fossero di ostacolo alla effettuazione di questo e d'altri nostri desiderii.

La Prise d'Alexandrie è un poema che consta di 8887 versi. Il ch. editore esponendo nella Prefazione la storia di sì fatto componimento, ricerca le fonti donde il Machaut attinse le notizie, e per conseguenza esamina quale sia il grado di probabilità che meritano le diverse parti dell'opera; infine tesse una rassegna dei diversi esemplari manoscritti che dell'opera medesima si conoscono. La quale, considerata sotto l'aspetto storico, è una cronaca rimata in cui si descrive il più memorabile avvenimento del regno di Pietro I di Lusignano; mentre riguardo al suo autore è da ritenere come il più considerevole de' lavori cui egli pose mano, essendo un monumento della più alta importanza non solo per la storia dell'isola di Cipro, ma per quella dell' Oriente Latino. Il valore letterario del poema deve dirsi appena mediocre; ma non è da tacere che il Machaut lo scrisse varcati già gli ottanta anni (poco dopo il 1369): ce qui ferà excuser, au besoin, les lenteurs du recit. L'autore infatti dovette esser nato fra il 1282 e il 1284. Molti scrissero della vita e delle opere di lui, chè fu anche musicista di molta fama, ed uomo di corte e di governo; però al Mas Latrie non pare che alcuno abbia approfondito l'argomento con diligenza bastevole, rimanendo tuttavia da consultare i numerosi documenti, che lo concernono, nell' Archivio Nazionale in Parigi. L'epoca della morte del Machaut si assegna generalmente al 1377.

Il ch. Mas Latrie ha inoltre illustrato il poema con parecchie note diligenti, e compilata eziandio una Tavola cronologica degli avvenimenti celebrati nel medesimo: il che torna di un grande sussidio alle ricerche. Viene ultimo un copioso indice alfabetico delle materie.

Per dare un saggio del lavoro del Machaut e radunare insieme i ricordi storici genovesi che vi s'incontrano, riferiamo qui i brani seguenti.

Nel 1365 avendo i veneziani promesso di noleggiare al re Pietro alcuni loro legni, il poeta cosi scrive (pag. 49):

Li roys les mercia moult fort

De leur aide et de leur offre,

Qui vaut d'or fin tout plain un coffre,

Voire par Dieu X. millions;

Car il n'est mie nez li homs
Qui mieus li peûst recouvrer.
Je ne di pas que Genevois
N'aient la huée et la vois,

Et tres grant puissance seur mer,

Ho là! je n'en veuil nuls blasmer!
Car comparisons hayneuses.

Sont, ce dit on, et perilleuses.

Altrove racconta gli odiosi progetti formati dall' emiro Yelboga e da un rinnegato genovese chiamato Nassardin, per far abortire le trattative iniziate dagli ambasciatori del re Pietro col Sultano d'Egitto (pag. 180 e segg.):

Au Caire avoit un amiral,

Vuit de tout bien, plein de tout mal,

Irbouga estoit appelez,

C'est Yeux de buef en droit françois.

Et si avoit un genevois

Qui deüst or estre noiez,
Car faus estoit et renoiez;
Devenus estoit Sarrazins,
Et s'avoit a nom Nassardins.
Amiraus et grans druguement
Estoit dou soudan. Et briefment
Ces ij. avoient entrepris
A destruire le roy de pris

Qui de Chipre a la signourie.

Ma alfine Yelboga pagò con la vita il fio delle proprie scelleratezze :

Et se Nassardin à la feste

Heust esté, il fust sans teste,

Car eschapez ne fust à piece
Qu'il ne fust taillez piece à piece.

PASQUALE FAZIO Responsabile.

NOTIZIE SOPRA VARIE OPERE

DI FRA BARTOLOMMEO DA S. MARCO

I.

Disegni di Fra Bartolommeo.

Gli studi in disegno dei grandi dipintori sono agli intelligenti d'arte cari quanto le loro opere colorite. Da essi siamo posti più intimamente in contatto con que' valentuomini, che non dai quadri interamente condotti; veniamo quasi a sorprenderli nel segreto delle loro officine, ad assistere allo svolgersi dei loro concepimenti, ai vari modi tenuti per preparare l'esecuzione delle loro opere. Molti poi di essi hanno avuto nel segnare le proprie invenzioni tanto garbo e valentia, che talvolta verrebbe fatto di preferire que' primi concepimenti od embrioni dell' opere, all' opere stesse.

Fra costoro, uno per fermo con cui pochi rivaleggiano, è Frate Bartolommeo da S. Marco. De' suoi disegni altri condusse a matita rossa, altri a matita nera, alcuni a brace, e moltissimi, ed i più belli, a penna con inchiostro; dei quali, oltre agli sciolti, ne rimasero alla sua morte dodici libretti. Usò eseguirli di piccolissime dimensioni, ed all' espressione vivacissima, e alla correzione del disegno, congiungono un'eleganza di mano veramente incantevole. Si vede in essi con quanto graziosa imagine se gli presentassero sin dal bel principio alla fantasia le figure che egli voleva porre ne' suoi quadri, e come compiute del tutto, non solo pei movimenti, ma in tutti i particolari loro, nelle fogge dei panni e nei più minuziosi svolgimenti di questi; talchè si è certi che per molte delle sue opere egli non dovè far che retare e tradurre in grande quei piccoli disegni, condotti col solo aiuto di

GIORN. LIGUSTICO, Anno V.

6

« AnteriorContinuar »