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convocò il suo sinodo provinciale, per dare esecuzione ai decreti emanati in quello. Non guari dopo si accese gravissima contesa tra lui ed il governo di Genova, presieduto allora dal podestà Lotterengo di Martinengo: ed il contrasto ebbe origine e progresso così: Erasi portato a San Remo il podestà con un grosso esercito di fanti e di cavalli, per espugnare la città di Ventimiglia, contro cui dal consiglio di Genova era stata dichiarata la guerra; ed in San Remo stanziando quelle truppe, gravissimi danni recarono a quegli abitanti. Partito da San Remo il podestà ed ivi rimasti i suoi officiali, accrebbero questi ancor più le militari imposizioni, si di denaro che di vettovaglie, con irragionevole durezza. Gli abitanti di San Remo portarono le loro querele dinanzi all'arcivescovo, il quale, come vero ed assoluto signore di quel luogo, non tardò a recarvisi per confortare que' suoi vassalli e fare ad essi ragione. Non si tosto egli pervenne in San Remo, ed ebbe diligente informazione delle cose avvenute, altamente offeso che la sua giurisdizione fosse stata si audacemente violata, intimò a que' suoi vassalli di non più obbedire agli ufficiali del podestà, e minacciò di scomunica chiunque avesse osato di molestare in qualsifosse guisa gli abitanti di quel suo castello. Siffatla proibizione è minaccia fu tanto molesta al podestà, che, acceso d'ira, assali i beni del palazzo arcivescovile e poi pubblicò un editto, che nessuno più dovesse pagare le rendite della mensa metropolitana. La stessa persona dell' arcivescovo si trovò quindi in pericolo; sicchè Ottone si vide costretto ad allontanarsi dalla sua residenza e cercare asilo nel monastero di sant'Andrea di Sestri, donde poco dopo passò a Pavia. A comporre queste controversie s'interposero benchè inutilmente il vescovo di Albenga, l' arcidiacono Giovanni della cattedrale di Genova, ed i due canonici della stessa chiesa Ugo e Bartolomeo. L'arcivescovo invocò la giustizia di Roma, ove anche il podestà mandò i suoi difensori. Alla fine il papa Onorio III deputò in questo affare il vescovo di Parma e l'abate di Tiglieto, i quali ricondussero da Pavia l'arcivescovo nell'anno 1223 e lo presentarono al pubblico consiglio di Genova ed ottennero, che riacquistasse le sue solite rendite, si per mare che per terra, e tutti i suoi diritti sul castello di San Remo.

Sotto lo spirituale governo dell' arcivescovo Ottone fu determinato a quattordici il numero dei canonici della metropolitana: il qual numero fu poscia approvato e confermato con apostolica bolla del pontefice Gregorio IX, l'anno 4255, la quale è del seguente tenore :

GREGORIVS EPISCOPVS SERVVS SERVORVM del

Ecclesiarum utilitati et tranquillitati consulitur cum numerus perso» narum Domino famulantium in eisdem earum facultatibus provide coa» ptetur. Cum igitur sicut vestra petitio nobis exhibita continebat, in Ec» clesia vestra decem et septem praebendarum sit numerus institutus, et vos, necessitate ac utilitate ipsius Ecclesiae provida deliberatione pensatis, duxeritis statuendum, ut de praebendis eisdem duae, cum eas primo » vacare contigerit, sex mansionariis in ea servituris continue deputentur, » quartodecimo canonicorum numero in suo robore duraturo, nos vestris ⚫ supplicationis inclinati, statutum ipsum sicut provide factum est auclo⚫ritate Apostolica et firmitate etc. communimus. Statuentes ut nequis absque Apostolicae sedis mandato faciente de confirmatione hujusmodi » mentionem, ad majorem numerum vos compellat invitos, nisi adeo am» pliari contingeret ipsius Ecclesiae facultates, quod etiam personarum » numerus esset merito ampliandus. Auctoritate sedis Apostolicae semper salva. Nulli ergo etc. Si quis etc. Datum Laterani XI, Kal. Maii anno VII..

Due insigni fondazioni di nuovi ordini regolari ebbe luogo in Genova sotto l'arcivescovo Ottone: dei francescani e dei domenicani, circa il medesimo tempo e poco dopo sorse per opera di lui nel 1231 anche il convento delle monache intitolato a santa Caterina vergine e martire. Celebrò egli inoltre la solenne consecrazione della nuova chiesa di san Siro, il dì 9 agosto 1237, assistito da Giraldo patriarca di Gerusalemme, da Obizzo arcivescovo di Sassari, da Giovanni vescovo di Pafo, da Giacomo vescovo di Torino e da Vilasco frate francescano vescovo di Marroco, ognuno dei quali vi consecrò un qualche altare.

Mori Ollone a' 50 di novembre dell' anno 1239, con fama di ottimo prelato e di valente canonista, particolarmente a cagione del suo libro sulle cause matrimoniali intitolato al papa Innocenzo III. Questo papa anzi gli scrisse due lettere; l'una intorno ad una causa di divorzio e l'altra circa un privilegio di santa Maria di Castello: entrambe furono pubblicate dal Baluzio (1). Compiuti i riti funebri e data solenne sepoltura all'arcivescovo

(1) Lib. X, epist. 114, e lib. X11, epist. VI.

Ollone, presso all'altare della Vergine, il dì 4.o di novembre; si venne tosto all'elezione del successore, nelle solite forme, e vi fu eletto l' arcidiacono GIOVANNI di Cogorno, il quale ricevè in Roma l'episcopale consecrazione. Due volte, nel tempo della sua pastorale reggenza, venne a Genova il pontefice Innocenzo IV e vi dimorò alquanto di tempo. Era genovese della famiglia de' Fieschi, nè perciò poteva trovare migliore asilo in mezzo alle turbolenze, che inquietavano la chiesa universale, quanto nella sua patria. Vi venne in giugno dell'anno 1244, e vi si fermò cinque mesi; poscia andò in Francia, ove si trattenne sette anni in Lione di là ritornò a Genova, vi stette pochi giorni e nella fine del giugno 1251 ritornò a Roma. Tra le molte opere di generosità, ch'egli fece in patria, è da commemorarsi il dono di trentasei lampade d'argento all'altare di san Giovanni Battista, le quali dovessero ardere continuamente dinanzi a quelle sacre ceneri. Due anni dopo, cioè, nel 1255 morì l'arcivescovo Giovanni ed ebbe successore GUALTIERO, nato a Vezzano nella Lunigiana, ch' era arcidiacono della cattedrale di Luni, uomo adorno di somma dottrina, di rara prudenza e di altre amabili virtù. Di queste sue pregevoli qualità diede continue prove il nuovo arcivescovo in mezzo alle gravissime turbolenze, che tenevano agitata Genova si per civili che per ecclesiastici affari. Fu sottoposta la città nel 1261 ad interdetto dal papa Urbano IV a cagione delle feroci discordie con la repubblica di Venezia, contro cui s'erano collegati i genovesi coll' imperatore di Costantinopoli. Dalla quale censura gli assolse il papa per l'interpostavi mediazione dello zelante arcivescovo. Egli morì pieno di giorni e di virtù, compianto e desiderato da tutti, a' 26 di settembre 1274.

Due anni rimase vacante la sede genovese: ed in questo frattempo fu sottoposta Genova ad un secondo interdetto, fulminatole dal pontefice Gregorio X, nel 1275, perchè i genovesi avevano aderito ai ghibellini contro le ragioni della santa Sede. Venne a Genova il cardinale Ottobono Fieschi, genovese, per ricondurli alla devozione del papa ma non vi riusci: fu anzi preso in sospetto di nemico della patria e di capo dei fuorusciti, e perciò le sue terre patrimoniali ed abbaziali furono saccheggiate. Queste violenze provocarono dal papa ancor più gravi censure; cioè, la scomunica; sui genovesi, da cui non furono assolti che dallo stesso cardinale, dopo che a' 12 luglio del seguente anno 1276 era stato esaltato alla cattedra di san Pietro, col nome (di Adriano V. Egli allora, nel

l'ol. XIII.

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brevissimo spazio del suo pontificato, pensò anche a far cessare la vedovanza della chiesa genovese, eleggendone arcivescovo, addi 6 settembre di quello stesso anno, il parmegiano BERNARDO, ch'era arcidiacono della chiesa di Narbona, ed aveva sostenuto l'incarico di governatore della marca anconitana. Fu accolto dalla città con grande giubilo, ed egli con tutto l'animo si applicò al bene spirituale del suo gregge ed al decoro della sua chiesa. Ingrandi in Genova il palazzo vescovile; ne fabbricò uno in Morazzano, e ne condusse a compimento un altro, che il suo antecessore aveva incominciato in San Remo.

Nel tempo di questo arcivescovo, accadde, che rifabbricandosi nel 1285 l'altare di san Siro, fu spezzata la pietra, che ne formava la mensa e che copriva l'urna, in cui stavano collocati tre loculi, ognuno dei quali conteneva il corpo di un santo. Nel primo una lamina di piombo portava incisa l'iscrizione:

M. S. HIC REQVIESCIT CORPVS
SANCTI SYRI EPISCOPI IANVEN
SIS. OBIIT III. KAL. IVLII. FILIVS
AEMILIANI

Nel secondo, un'altra lamina di piombo aveva quest' altra epigrafe:

M. S. HIC REQVIESCIT SAN
CTVS FOELIX EPISC. IANVEN.
QVI VIXIT AN. LXX. REXIT EPI

SCOP. XX. RECESSIT VII. ID IV
LII.

Nel terzo non era iscrizione veruna, per lo che varie furono le opinioni circa il corpo, che vi si chiudeva: chi lo diceva di san Romolo, chi di san Salomone. Fatto è, che di siffatta scoperta si fece alto autentico. Sull'appoggio della trovata lamina i monaci di san Siro tenevano per fermo di essere possessori del corpo del santo titolare della loro chiesa, ed altrettanto pretendevano i canonici della metropolitana, che sapevano trasferito nella lor chiesa il corpo del santo vescovo sino dall'anno 987, per opera del vescovo Landolfo, come alla sua volta ho narrato. Un solenne riconoscimento fu fatto perciò nel 1293 anche nella metropolitana, ove, trovate le più solenni ed autentiche prove dell' avvenuta traslazione, non se ne dubitò più dell'esistenza e verità: e perciò fu intimato ai monaci

di astenersi dall' esporre alla pubblica venerazione il corpo del loro san Siro. Incominciarono allora gravi litigi dall' una parte e dall' altra, che continuarono più di un secolo e mezzo. Alla fine la decisione fu posta in mano di due giudici arbitri, e questi furono i due priori di san Teodoro e di san Domenico. Decisero essi, addi 12 ottobre 1456, essere divise le ossa del santo, ed averne alcuna parte la chiesa di san Siro, averne la maggiore la metropolitana di san Lorenzo. Fu accolto di buon animo dall'una e dall'altra parte il pronunziato giudizio ed il litigio cessò.

Mori nel 1286 l'arcivescovo Bernardo, e la sua morte diede principio ad altri due anni di vedovanza della sua sede, a cagione dei contrasti insorti nel capitolo metropolitano per l'elezione del successore: chi voleva Nicolò Camilla cappellano pontificio, e chi il domenicano fr. Jacopo da Varazze, ed un terzo partito proponeva Tedisio Fieschi (detto dall' Ughelli Teodorico), il quale era canonico di Lincoln in Inghilterra, ed altri finalmente volevano Ottobuono Spinola, canonico di Châlons in Francia. I due primi rinunziarono subito a qualunque diritto, che potesse aver loro comunicato quella discorde elezione: invece il Fieschi e lo Spinola tennero fermo il loro diritto, ma in fine anch'eglino, vedendo inutile ogni sforzo per vincersi a vicenda, rinunziarono la dignità, che non potevano conseguire. Allora il papa Nicolò IV, nell'anno 1288, pose fine a tutte le gare, affidando in amministrazione la chiesa di Genova al patriarca di Antiochia, che era Opizzone del Fiesco, il quale aveva governato con molta lode quella chiesa patriarcale; ma dappoichè gl' infedeli s' erano impadroniti di quella città ed avevano occupato i beni del patriarcato, nel 1267, egli s' era rifugiato in Roma, ed aveva ottenuto in commenda, per aver donde vivere, la chiesa di Trani da prima, e poscia questa di Genova. Non è poi vero, che egli in seguito ne fosse dichiarato ordinario arcivescovo, come credè l' Ughelli; mentre gli storici genovesi, e particolarmente il contemporaneo, che diventò poscia ordinario pastore di questa chiesa e che ne scrisse la storia, il BEATO GIACOMO da Varazze, non lo indicarono che con la sola qualificazione di amministratore.

Tre anni e mezzo durò cotesta amministrazione: ma finalmente il pontefice Nicolò IV, mosso dalle preghiere, che gli e ne fecero gli ambasciatori della repubblica genovese, concesse loro ad arcivescovo il sumimentovato domenicano FR. GIACOMO da Varazze, detto da taluni erroneamente da Varagine, che n'è la latina denominazione del paese, ov' egli è nato. È

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