delle difficoltà assai più gravi. La duplice qualità che riveste il Sovrano Pontefice, di capo della Chiesa Cattolica, e di Principe temporale rende quasi impossibile (nei suoi Stati) lo stabilimento del sistema costituzionale. Egli non saprebbe consentirvi senza incorrere nel pericolo di trovarsi spesso in contraddizione con lui medesimo, e di essere forzato di optare fra i suoi doveri come Pontefice, ed i suoi doveri come Sovrano costituzionale. Nondimeno riconoscendo che bisogna rinunziare all'idea d'assicurare la tranquillità degli Stati del Papa col mezzo d'instituzioni costituzionali, il gabinetto di Torino pensa che siasi per ottenere lo stesso scopo adottando il progetto che i plenipotenziarii di S. M. il Re di Sardegna al Congresso di Parigi hanno sviluppato nella nota del 27 marzo 1856, indirizzata ai Ministri di Francia e d' Inghilterra. Questo progetto, che ottenne la piena approvazione di lord Clarendon, si basa sulla separazione amministrativa completa delle provincie dello Stato Romano poste tra l'Adriatico, il Po e gli Appennini, e lo sviluppo in esse delle instituzioni municipali e provinciali, che erano stabilite, se non messe in pratica, in principio dal Papa stesso al suo ritorno da Gaeta. Questo progetto dovrebbe frattanto essere completato collo stabilire a Roma una Consulta nominata dai Consigli provinciali, alla quale sarebbero sottomesse le questioni relative agl' interessi generali dello Stato. Le idee che si espongono sono una chiara e precisa risposta all' interpellanza che il Governo di S. M. Britannica ha indirizzato al gabinetto di Torino. Restringendole, risulta a suo avviso che i danni o d'una guerra o d'una rivoluzione saranno stornati, e la questione italiana temporaneamente assopita alle condizioni seguenti: Coll' ottenere dall' Austria, non in virtù de' trattati, ma a nome dei principii d'umanità e di eterna giustizia, un governo naziona❤ le e separato, per la Lombardia e la Venezia. Coll'esigere che, conformemente alla lettera e allo spirito del trattato di Vienna, il dominio dell' Austria sugli Stati dell'Italia centrale cessi, e conseguentemente che i forti distaccati costruiti fuori della cinta di Piacenza sieno distrutti; che la convenzione del 24 dicembre 1847 sia annullata; che l'occupazione della Romagna cessi; che il principio del non intervento sia proclamato e rispettato. Coll' invitare i Duchi di Modena e di Parma a dotare i loro paesi d'instituzioni analogbe a quelle che esistono in Piemonte, e il Granduca di Toscana a ristabilire la costituzione che aveva liberamente accordata nel 1848. Coll' ottenere dal Sovrano Pontefice la separazione amministrativa delle provincie al di qua degli Appennini, conformemente alle proposte comunicate nel 1856 a' gabinetti di Londra e di Parigi. Possa l'Inghilterra ottenere l'avveramento di queste condizioni ! L'Italia confortata e pacificata la benedirà, e la Sardegna che tante volte ne ha invocato il concorso e l'aiuto in favore de' suoi sventurati cittadini, le professerà una riconoscenza imperitura. Il Governo Imperiale, V. E. lo sa, si è fatto sollecito d'accedere alla proposta del gabinetto di Pietroborgo, di riunire un Congresso delle cinque Potenze per cercare d' appianare le complicazioni sopraggiunte in Italia. Convinti tuttavia dell' impossibilità d' intavolare con probabilità di successo deliberazioni pacifiche in presenza dello strepito delle armi e dei preparativi di guerra continuati in un paese limitrofo, noi abbiamo domandato la messa su piede di pace dell'esercito Sardo, ed il licenziamento dei corpi franchi o volontarii italiani previamente alla riunione del Congresso. Il governo di S. M. Britannica trovò questa condizione talmente giusta e conforme all' esigenze della situazione, che non esitò ad appropriarsela, dichiarandosi pronto ad insistere, di conserva colla Francia, sull' immediato disarmo della Sardegna, e d'offrirle, in ricambio, contro qualsiasi attacco da nostra parte, una garantia collettiva a cui, non occorre dirlo, l'Austria avrebbe fatto onore. Il gabinetto di Torino sembra non aver risposto che con un rifiuto categorico all' invito di mettere il suo esercito sul piede di pace, e d'accettare la garantia collettiva che gli era stata offerta. Questo rifiuto c'inspira dispiaceri tanto più profondi, in quanto che se il Governo Sardo avesse consentito alla testimonianza di pacifici sentimenti che gli era stata domandata, noi l'avremmo accolta qual un primo sintomo della sua intenzione di concorrere dal canto suo al miglioramento dei rapporti disgraziatamente tanto tesi fra i due paesi da alcuni anni in poi. In questo caso ci sarebbe stato permesso di fornire, colla dislogazione delle truppe imperiali stanziate nel Regno Lombardo-Veneto, una prova di più ch' esse non vi sono state riunite in uno scopo aggressivo contro la Sardegna. La nostra speranza essendo stata finqui delusa, l'Imperatore, mio Augusto Signore, si è degnato ordinarmi di tentare direttamente uno sforzo supremo per far ritornare il Governo di S. M. Sarda sulla decisione a cui sembra essersi esso fermato. Tal è, signor Conte, lo scopo di questa lettera. Io ho`l' onore di pregare V. E. di volersi compiacere di prendere il suo contenuto nella più seria considerazione, e di farmi sapere se il Governo Reale consenta si o no ad ammettere, senza indugio, il suo esercito sul piede di pace, ed a licenziare i volontarii italiani. Il latore del presente a cui degnerete, sig. Conte, di far rimettere la vostra risposta, ha l'ordine di trattenersi a quest' effetto a vostra disposizione tre giorni. Se, allo spirar di questo termine, egli non ricevesse risposta, o che questa non fosse completamente soddisfacente, la risponsabilità delle gravi conseguenze che trarrebbe seco questo rifiuto ricadrebbe tutta quanta sul Governo di S. M. Sarda. Dopo aver esauriti inutilmente tutti i mezzi concilianti per procurare a' suoi popoli la garantia di pace sulla quale l'Imperatore è in diritto d'insistere, S. M. dovrà, con suo grande rincrescimento, ricorrere alla forza delle armi per ottenerla. Nella speranza che la risposta che io sollecito da V. E. sarà conforme ai nostri voti tendenti al mantenimento della pace, colgo questa occasione per confermarle, sig. Conte, i sensi della mia predistinta considerazione. Risposta data dal conte di Cavour alla precedente intimazione. Torino 26 aprile 1859. Sig. Conte. Il barone di Kellesperg mi ha rimesso il 23 del corr., alle cinque e mezzo di sera, la lettera che V. E. mi ha fatto l'onore d'indirizzarmi per farmi sapere a nome del Governo Imperiale di rispondere con un si o con un no all'invito che ci è fatto di ridurre l'armata sul piede di pace, e di congedare i corpi formati di volontarii italiani, aggiungendo che se nel termine di tre giorni V. E. non ricevesse risposta, o se la risposta che le fosse fatta non fosse completamente soddisfacente, S. M. l'Imperatore d' Austria sarebbe deciso di ricorrere alle armi per imporci colla forza le misure che formano l'oggetto della sua comunicazione. La quistione del disarmo della Sardegna che costituisce il fondo della domanda che V. E. m' indirizza, è stata argomento di numerose trattative tra le Grandi Potenze e il Governo di S. M. Queste trattative riuscirono ad una proposizione formolata dall' Inghilterra, a cui aderirono la Francia, la Prussia e la Russia. La Sardegna in uno spirito di conciliazione l'ha accettata senza riserve nè mire segrete. Siccome l' E. V. non può ignorare nè la proposta dell' Inghilterra nè la risposta della Sardegna, io non potrei nulla aggiungere per farle conoscere le intenzioni del Governo del Re a riguardo delle difficoltà che si opponevano alla riunione del Congresso. La condotta della Sardegna in questa circostanza è stata apprezzata dall' Europa. Qualunque possano essere le conseguenze che essa porti, il Re, mio Augusto Signore, è convinto che la responsabilità ne ricadrà su coloro che armarono per i primi, che hanno respinto le proposte formulate da una Grande Potenza, e riconosciute giuste e ragionevoli dalle altre, e che ora vi sostituiscono una minacciosa intimazione. Colgo questa occasione per reiterarle, sig. Conte, i sensi della mia predistinta considerazione. Segnato C. CAVOUR. XIII. Pag. 64, nota 4. Discorsi pronunziati dal conte di Cavour al Parlamento, nel proporre la concessione di straordinari poteri al Re. Signori Deputati. Le Grandi Potenze Europee, nell' intento di trattare la questione italiana per mezzo della diplomazia, e di tentare se fosse possibile risolverla pacificamente, determinarono nel mese di marzo di convocare a tal fine un Congresso. L'Austria però subordinava la sua adesione a questo progetto ad una condizione risguardante la sola Sardegna, quella cioè del suo preventivo disarmo. Tale pretesa, respinta senza esitazione dal Governo del Re come ingiusta e contraria alla dignità del paese, non trovò appoggio presso nessuno de' Gabinetti. L' Austria allora ve ne sostituì un' altra, quella di un disarmo generale. Questo nuovo principio diede luogo ad una serie di negoziati, i quali, a malgrado della frequenza e della rapidità delle comunicazioni telegrafiche, continuarono parecchie settimane, e riuscirono alla proposta dell' Inghilterra, che voi ben conoscete e che fu accettata dalla Francia, dalla Russia e dalla Prussia. Sebbene il Piemonte scorgesse a quante dubbiezze e a quanti inconvenienti poteva dar luogo l'applicazione del principio, nondimeno, per ispirito di conciliazione, e come ultima possibile concessione, vi aderì. L' Austria, per lo contrario, lo ha recisamente rifiutato. Cotale rifiuto, di cui ci pervenivano notizie da tutte le parti d'Europa, ci veniva poi officialmente annunciato dal rappresentante dell'Inghilterra a Torino, il quale d'ordine del suo Governo ci significava che il Gabinetto di Vienna aveva determinato di rivolgere al Piemonte un invito diretto a disarmare, chiedendo definitiva risposta nel termine di tre giorni. La sostanza e la forma di un tale invito non possono lasciar dubbio veruno agli occhi di tutta Europa sulle vere intenzioni dell'Austria. Esso è il risultato e la conclusione dei grandi apparecchi di offesa, che da molto tempo l' Austria riunisce sulle nostre |