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matica da Ateneo: e l'immortale Ippocrate da Coo (1) meritò per sempre il glorioso titolo di padre della medicina (2). Se poi dubitar volessimo del merito dei Greci nella politica farebbe d'uopo ignorare, che tempra d'uomini furono i Soloni, ed i Licurghi. E per dir tutto in breve, non avvi, in generale discorrendo, scienza, non arte bella, non ramo alcuno di letteratura, che i Greci non riconosca per inventori, i Greci per maestri, i Greci per banditori; onde ben a ragione ebbe a proromper l'Andres (3) maravigliosa gente è la greca, e singolare, ed unica in ogni vanto di coltura, e di sapere. Aveano le altre nazioni, scrivea con senno il dotto Cardella (4), veduto nascere nel loro seno le scienze e le arti; anzi l'aveano dirò così prodotte, nutrite ed allevate: ma pure ad onta delle lor cure esse erano rimaste sempre bambine, nè ancora pervenute miravansi a quel segno di sviluppamento e di forza, che proprio è di un'età già adulta e compiuta. Era riserbato alla Grecia l'onore di trarle dall'infanzia, di porger loro un alimento più solido e di condurle ad uno stato di vegeta robustezza. La decadenza della greca dottrina ad incontrar vassi colla romana. I Latini dediti al mestier delle armi ed agli spogli ed alle usurpazioni de' territori circonvicini abbracciarono tardi la letteratura, e per poco tempo la mantennero; essa non fu per loro che un bottino frutto della vittoria (5). E fu cosa ben singolare, che avesse avuto principio appo i Latini la letteratura dai componimenti drammatici, i quali in altre nazioni sono per lo più preceduti da composizioni di minor conto (6); infatti Livio Andronico, Gneo Nevio, ed Ennio ingenio maximus, arte rudis (7) che primi il gusto introdussero delle lettere presso i Romani, primi pur furono a far teatrali componimenti, e allorchè fu vinto dalle aquile latine Perseo re di Macedonia, furono condotti a Roma lo storico Polibio e 'l filosofo Panezio, i quali concorsero maravigliosamente ad avvivare sempre più nei Romani quell' ardor per le scienze,

(1) Nacque 459 anni a. G. C. e mori nel novantesimo di sua età.

(2) Dictionnaire des sciences médicales, tom. 1. Introd. p. xxix.

(3) Dell'orig. progr. e stato attuale d'ogni letteratura, tom. iv. Introd. n. 3.

(4) Compendio della storia della bella letteratura greca, latina, e italiana, vol. 1, p. 1.

(5) Giuguené Hist. littéraire d'Italie, t, 1, nella Pref.

(6) Denina Discorso sopra le vicende della letteratura, t. 1, p. 1, n. xxii.

(7) Ovid. lib. 2. Trist. eleg. 1.

da cui già cominciavano ad essere compresi (1). Ma il vero genio della latina sapienza non mostrossi, che nell'età di Cesare e di Ottavio suo successore, epoca che l'arme insieme e le lettere dei Romani condusse al più sublime grado di gloria. E senza dividere in vari periodi i secoli della letteratura latina, nè attenerci all' ordine cronologico, chè tale non è lo scopo nostro, non d'altro ci occuperemo, che di accennare i più celebri uomini di quella stagione; senza nè anche trattenerci nel lodarli, giacchè son costoro sì noti che omai sarebbe vanità scolaresca il farne elogi (2). E per parlar prima dei poeti, fu fra' più antichi il faceto M. Accio Plauto rinomato per le sue graziose, seb. bene rozze, commedie; e nello stesso genere Pacuvio, Afranio, Turpilio, Dorsenno, Trabea, Cecilio, e Terenzio; l'ultimo dei quali, benchè cartaginese, fra i Romani nondimeno visse, e loro fu debitore di sua cultura, e sorpassò tutti per un fino gusto della natura (3). Le favole di Fedro poi per la purità, semplicità, e grazia picciol tratto di Terenzio son riputate (4). A C. Lucilio l'invenzione attribuiscesi della satira (5), genere pressochè del tutto sconosciuto dai Greci (6); poscia da Orazio, da Persio, e da Giovenale perfezionata. Maggiore ornamento riceve la latina poesia dal celebratissimo poema di T. Lucrezio Caro, i cui versi allor periranno, diceva Ovidio (7),

Exilio terras cum dabit una dies:

pochi anni prima di lui era morto C. Valerio Catullo, cui deve tanto la gran Verona

Quantum parva suo Mantua Virgilio (8);

e a lui contrastò la corona di principe negli epigrammi lo spagnuolo Marziale molte altre fonti di poesia attinse la facile vena di Ovidio;

(1) Tiraboschi Stor. della letterat. ital., tom. 1, p. 3, l. 2, c. 2, n. 3.

(2) Denina loc. cit.

(3) Rapin Réflex. sur la poétique n. 26.

(4) Gravina Della ragion poetica, lib. I.

(5) Horat. Flacc. 1. 2, satir. 1.

(6) Quintiliano lib. x, cap. 1. (7) L. 1. Amor. eleg. 15.

(8) Marziale 1. 14, epigr. 195. MORTILLARO, vol. I.

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poeta originale, che compensa bene alcuni difetti colle molte virtù di cui si vede riccamente dotato (1). A chi poi è ignoto il nome del famosissimo e prestantissimo Orazio nella lirica? di Properzio, i cui versi hanno un non so che di singolare e di estremamente patetico (2), e del poeta del sentimento Tibullo (3) nella elegia? e del principe degli epici Virgilio,

Di cui la fama ancor nel mondo dura,

E durerà quanto il mondo lontana (4)

non avendo tutta la Grecia un poeta che dia quanto Virgilio l'idea della perfezione? E chi non conosce dopo di questi sommi, Lucano, e Stazio, che malgrado dei loro difetti deonsi grandi poeti riputare? Ma i Romani non vantano oratori, quanto i Greci, tuttochè al certo non ne dovettero mancare in mezzo alle tribunizie procelle: nè a noi sono pervenute, che le sole orazioni di Cicerone, e dei tempi posteriori il panegirico di Plinio a Trajano, e qualche altra orazione di minor conto; ma il solo Tullio, il cui nome ci ricorda ciò che avvi di più splendido nell'arte oratoria (5), è bastevole per far fronte al numeroso stuolo degli eloquenti di Grecia. Contano inoltre i Romani nella storia molti insigni scrittori: Sallustio

Romana primus in historia (6),

Cesare, Cornelio Nipote, T. Livio paragonato con gran senno dal Trapezunzio (7) ad un fiume latteo; e posteriormente Tacito principe degli storici morali e forse monarca (8), Florio, Q. Curzio, Svetonio, Giustino, Vellejo Patercolo, e Valerio Massimo, de' quali chi si di

(1) Andres loc. cit. tom. 1, lib. 1, cap. v, n. 38.

(2) Jos. Addisoni Tentamen de poetis Romanis elegiacis v. The classical Journal, n. xviii, pag. 347.

(3) La Harpe Lycée ou cours de littérature ancienne, et moderne, t. iì, p. 1. 1. 1,

(4) Dante Inferno cant. 2, v.

59 e 60.

(5) Blair Lectures on rhetoric, and belles leures vol. 11, lect. xxvI.

(6) Martial. I. 14, ep. 191.

(7) Lib. v. Rethoricor.

ch.

X, p. 249.

(8) Carlo Botta Storia d'Italia continuata da quella del Guicciardini sino al 1789, tom. 1.

nella Prefazione.

stinse più, chi meno nella eleganza dello scrivere; ma tutti ugualmente nella esattezza, e nella verità dei racconti. Nè sconosciuto fu ai latini ingegni ramo alcuno di filologica erudizione; come agevole riesce il persuadercene, allorchè rammentiamo i nomi di M. Terenzio Varrone, di Aulo Gellio detto da s. Agostino (1) uomo di elegantissima dicitura, e di molta e faconda scienza, di Quintiliano, di Macrobio, di Donato Prisciano, e di tanti altri.

Ma gli stessi progressi vantar non possono nelle scienze quei contenditori della greca gloria. Essi appena conobbero le matematiche, nè altri uomini illustri presso loro in tali scienze rinvengonsi, fuorchè Varrone, che il primo fece uso delle ecclissi per regolare la cronologia (2), Giulio Cesare, e Vitruvio. Nè troviamo, tranne un certo stoico per nome Sesto Pompejo (3), prima di Cicerone filosofo alcuno presso i Romani: e per non parlare degli altri che gli successero, perchè di oscuro nome, solo Seneca, e Plinio hanno meritato lo studio de' moderni, dei quali il primo al dir del Menage (4) meglio è a citarsi nel calor della disputu, che a leggersi nel silenzio del gabinetto, e 'l secondo colla sua storia naturale diè un inventario prezioso di tutto ciò che formava allora la vera ricchezza dello spirito umano (5). Della medicina il solo Aurelio Cornelio Celso vissuto sotto l'impero di Tiberio Cesare si sa averne scritto presso i Latini: non così dell'agricoltura, giacchè fra gl' illustri geoponici della romana dominazione annoveransi Marco Porzio Catone, Scrofa Tremelio, Vegezio gran maestro della milizia romana, Igino, e 'l tanto rinomato Luca Giunio Moderato Columella. Quella poi, che scienza dei Romani può veramente appellarsi, è la giurisprudenza, fiorita principalmente nell'epoca della repubblica fra le mani di Tiberio Coruniano, de' due Catoni, di M. Giunio, dell' eloquentissimo Quinto Muzio Scevola (6), e di altri, per nulla dire di Antistio Labeone, e di Attejo Capitone, capi di due sette legali nei tempi gloriosi di Augusto.

(1) Augustin. De Civit. Dei, lib. 9.

(2) Bailly Hist. de l'Astron. mod., tom. 1, p. 128, 495, ec.

(3) Cicer. De clar. orat. 47.

(4) Menagianor. tom. 11.

(5) Condorcet Esquisse d'un tableau historique des progrès de l'esprit humain, 5 époque, 4 édit. pag. 106.

(6) Cicer. De Orat. 1.

Nel decadimento della greca, e della romana letteratura sorger ne fece uno sconosciuto ramo la cristiana religione. Le persecuzioni, le eresie, la bibbia, le gesta dei fedeli, e gli avvenimenti della Chiesa porsero materia onde formarsi apologie, comenti, e storie; e bella mostra di sè fecero i Giustini, gl' Irenei, i Tertulliani, i Minuzi Felici, i Clementi alessandrini, gli Origeni, i Cipriani: finchè si giunse al secolo quarto epoca luminosa del gran Costantino e di Teodosio, che è da riguardarsi come l'età d'oro della cristiana letteratura (1), epoca grande della chiesa primitiva, in cui risplendettero nell'Occidente Arnobio, Lattanzio, Simmaco, Paulino, Ambrogio, ed Agostino l'uomo il più maraviglioso della chiesa latina (2), e nell'Oriente il Crisostomo, Basilio, i Gregori, e l'intrepido Atanasio che in mezzo al più vergo. gnoso abbassamento dello spirito umano, sotto un impero governato da eunuchi, ed invaso da barbari, intender fece la morale più pura e l'eloquenza più sublime. Ma col finir di costoro, quasi finì la sapienza, giacchè una folta nebbia d'ignoranza in ogni parte dilatatasi, chiuse la terra in una notte di tenebrosa barbarie: e se qualche debole raggio di benigna luce sembrò di tratto in tratto sfavillare, e risplendere; non servì, che a render quella vieppiù truce, e più spaventevole.

S II. Della letteratura del medio-evo.

Dir volendo qualche cosa della letteratura del medio-evo impreteribil sembrami lo accennare, che la divisione dell'impero, bipartito in orientale ed occidentale, spense del tutto la letteratura greca, e la romana; poichè, tolto il commercio tra Greci e Latini, privi ambidue rimasero de' lumi scambievoli. E per dir prima dell'Occidente, le irruzioni dei selvaggi conquistatori del Norte sboccati nell'impero romano, l'occuparono in guisa, che tra gl'incendi e le stragi ogni valore smarritosi, parvero divenir anch'essi vandali, e goti i popoli più colti, e le più civili nazioni: così tutto vestì sembianze barbariche, si alterarono i linguaggi, si disprezzarono i libri; le arti, le leggi, i costumi tutti oppressi vennero dalla ignoranza. Tale era lo stato deplorabile dell'Oc

(1) Villemain Mélanges histor. et littér., tom. ui, pag. 293.

(2) Villemain loc. cit. pag. 451.

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