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dre ragunò innanzi a sè il sacro collegio, ed a cui espo se il motivo di tale straordinaria convocazione. La gravezza ed importanza del subbietto fecero giudicare al difensore della cattolica fede, che non conveniva esigere su due piedi e dietro una semplice relazione verbale un consiglio,che doveva produrre rimarchevoli conseguenze. Quindi volle che fossero distribuite nella stessa adunanza (sotto la legge del più rigoroso segreto e della più gelosa custodia) le copie manoscritte della lettera di Napoleone dei tredici febbrajo, e della nota del card. Fesch dei due marzo, sul contenuto delle quali cadeva la consultazione, proponendosi eziandio i quesiti tratti dalle suddette note,e su le quali chiedevasi la risposta da esibirsi col ritorno delle copie in una seconda adunanza,da tenersi irremisibilmente due giorni dopo. Effettuossi nel giorno dieci il s. Padre conobbe nella medesima il deciso parere del sacro collegio. Quindi formossi la lettera responsiva a quella dei tredici febbrajo, ed inviossi a Parigi per mezzo d' un corriere straordinario in data dei ventuno marzo Dicevasi in essa di non potere aderire il capo della chiesa ortodossa alle ingiuste richieste,e dimostraronsi con trionfanti ragioni le stravaganti pretensioni della Francia, e la ragionevolezza e la giustizia della causa della s. Sede (1); alle quali istanze giudicò Napoleone di non rispondere direttamente ma fece conoscere mernota di Talleyrand ministro degli affari esteri al card. legato Caprara, che la trasmise a Roma col ritorno del corriere speditogli, che non aveva essa prodotto nel cuor del monarca alcun buono effetto (2).

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V. Facil cosa è a comprendersi la dolorosa sensazione che produsse nel cuore di Pio VII. il contenuto del

Lettera di Pio VII. dei ventuno marzo.

(-) Nota di Carlo Maurizio Talleyrand dei diciotto aprile.

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la nota suddetta. Napoleone persisteva nei sentimenti già esternati, ad onta delle invincibili ragioni esposte dal s. Padre, ragioni delle quali niun carico diedesi, nè promise darsi giammai. Anzi conviene che sappiasi dalla storia che in essa scagliaronsi delle accuse intorno la condotta del gran sacerdote avvanzaronsi espressamente nuove minaccie, ed intimossi la perdita della sovranità temporale della s. Sede, se egli non annuiva alle domande dell'imperadore. Dunque ognun vede a quale inevitabile crisi andava soggetta la chiesa, non potendo il Pontefice recedere dai sentimenti con tanta maturità adottati, e da quali il dovere del suo sacro carattere d' universale pastore, e padre comune non permettevano di allontanarsi pel comun bene della religione, che appare più splendida tra le nubi, tra le procelle più serena, e più ferma tra gl' irrequieti sbuffi dei tempestosi aquiloni Giudicò quindi di comunicare al sacro collegio l'anzidetta nota, acciocchè fosse conosciuta la gravità del pericolo in tutta la sua estensione, e volle eziandio il voto sulle risoluzioni da prendersi su tale oggetto, ottenuto il quale fece formare la risposta da presentarsi dal card. legato al ministro Talleyrand, che è la seguente (1).

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VI. Il card. Caprara legato a latere di sua Santità ha l'onore di significare a v. e. che avendo trasmessa al s. Padre la nota dei diciotto aprile, ha ricevuto l'ordine di dare la seguente risposta.

Sua Santità sente con pena, che s. m. imperiale e reale nella elevatezza del suo intendimento non ravvisi lo spirito che anima la condotta del s. Padre, e che trovi impossibile lo scuoprire i motivi del sistema che siegue. Non è egli animato da altro spirito, nè siegue altro

(1) Lettera di Pio VII. al card. Caprara in data dei venticinque aprile.

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sistema che quello che gli detta la essenza del suo carattere e la conoscienza delle obbligazioni che ne sono inseparabili. Niente di umano, niente di politico ha, nè può aver parte nella condotta che gli si rimprovera . 1 soli oggetti spirituali e religiosi ne sono la guida .

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Non è sui semplici rapporti della temporale sovranità, che il s. Padre dee diriggere le sue operazioni. Non può egli distaccarsi dal dovere tanto più imporante, che gl'impone la qualità di vicario di Gesù Cristo, di capo supremo della chiesa, di pastore universale del gregge cattolico e di padre comune de' fedeli. Questa qualità costituisce la differenza che passa tra lui, e gli altri principi secolari. I doveri che ne derivano, gli tolgono la facoltà di seguire quei principj, con i quali gli altri potentati sono in libertà di determinare la loro condotta politica. Il s. Padre che alla sua dignità di sovrano temporale riunisce il carattere tanto più sublime di sommo Pontefice,non può in questa rappresentanza secondaria far ciò che contradice ad essa, che è la primaria. È perciò, ch' egli non può separare da se il carattere di apostolo della pace, ne' associarsi ad alcuno stato di ostilità e di guerra Egli non può dimenticare la qualità di padre comune di tutti i fedeli, e considerando alcuni come figli, altri come nemici, perchè nemici di quelli, tradire l'officio della comune paternità commessagli da Dio. Pastore universale del gregge del Signore non può curarne solo una parte, e lasciare in abbandono un'altra; non può troncare con alcuna i fili della centrale comunicazione; non può sortire dallo stato di neutralità essenzia le a lui, e porsi in uno stato d'inimicizia con alcuna delle potenze, che racchiudano nel loro seno così gran numero di cattolici.

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Questi sono i soli e semplici motivi, che animano lo spirito, e diriggono il sistema del s. Padre. Li ha egli manifestati con tutta la espansione del cuore a s. m.

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nella sua lettera. È obbligato a ripeterli presentemente. Altri non ve ne sono, ně ve ne possono essere Sono questi medesimi i motivi, pei quali non può prendere per norma della sua condotta il principio pronunciato nella nota di v. e., che non vi debba essere negli stati di sua Santità, come nelle altre parti d' Italia alcun ministro di una potenza, con la quale la Francia sia in guerra. Se questo principio può essere adottato da altre potenze secolari dell'Italia, gli esseziali attributi del sapremo sacerdotale ministero, con cui si unisce la sovranità del romano Pontefice, non permettono che sia applicato a lui.

L'obbligare il Pontefice ad escludere dal suo stato gli agenti d'ogni potenza che sia nemica della Francia è lo stesso che porlo in istato di guerra con tutte le potenze che sono in guerra con la Francia. Lo stabilire ciò per massima, è lo stesso che obbligarlo ad essere in uno stato progressivo d' inimicizia con tutti i sovrani, ed in cons eguenza con tutti i popoli, coi quali nella successione dei tempi pnò la Francia trovarsi in guerra. Può egli il s. Padre adottare principj di questa natura senza distuggere le basi della sua divina missione, e senza violare gli obblighi i più sacri? La espulsione degli agenti delle corti estere porta alla conseguenza, che provocate da una tale ingiuria, taglino quelle comunicazioni con la s. Sede, la libertà delle quali è essenzialmente necessaria al governo della chiesa cattolica. Tolte queste libere comunicazioni, ecco arrestata l'influenza fra il capo e le membra; ecco disorganizzato il sistema del regime cattolico; ecco in ogni guerra l' anarchia succedere all' ordine dell' ecclesiastica unità.

Non vi è bisogno di analizzare i progressivi ed immensi danni, e pericoli d' interruzione di comunicazioe di disunione, che sovrasterebbero ai cattolici ed

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alla chiesa da questa successiva alienazione de' sovrani e de' popoli. La cosa parla in se stessa. La storia di Europa fa vedere nello spazio di non molti anni sorgere, e propagarsi le guerre successivamente a quasi tutte le nazioni che la compongono. Il sommo Pontefice adottando il sistema a cui si vuole astringere, si troverebbe in qualche periodo di anni esposto al pericolo di sdegnare l'uno dopo l'altro tutti i sovrani, anche i più attaccati alla religione, qualora divenissero nelle imprevidibili vicende dei tempi nemici della Francia. Può egli il s. Padre con adottare un tale sistema affatto nuovo nella storia della chiesa essere il primo a porre in questo permanente stato i vicarj di Gesù Cristo, i successori di s. Pietro,per cui tutti i cattolici del mondo formano un solo popolo, al quale devono diffondere egualmente la loro pastorale vigilanza ed affezione? A tutto questo aggiunge il s. Padre, che l' astringerlo ad espellere dal suo seno i ministri delle potenze estere, subitochè divengono nemiche dell'impero francese, è lo stesso che dichiarare cessata la indipendenza della sovranità per dieci secoli rispettata, e riconosciuta dalla s. Sede da tutti i sovrani anche non cattolici, e fare che i Pontefici da sovrani assoluti e liberi, divengano ligi e soggetti all' impero. francese,

Il s. Padre all' aspetto di questa depressione della sua libera sovranità, trova ne' suoi giuramenti, cioè nelle obbligazioni contratte immediatamente con Dio, un ostacolo invincibile a prestarvi la sua adesione. Egli ha giurato di conservare anche a costo del suo sangue illesi i diritti della s, Sede e di tramandarli ai suoi successori intatti, come li ha ricevuti dai suoi predecessori. Non potrebbe senza rendersi spergiuro tacere, e molto più annuire ad una simile depressione della s. Sede, depressione, che nel degradare affatto la indipendenza della sovranità temporale, le toglierebbe anche i mezzi del li

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