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sostituì il cardinale Bartolommeo Pacca. Ma prese appena le redini dei politici affari avvenne l' arresto di parecchi distinti personaggi, fra quali i prelati Riganti segretario della consulta e Barberi fiscale generale del go

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tore Napoleone per sovrano legittimo di quelle provincie, che il medesimo ha ultimamente usurpate alla s. Sede. Finalmente sarebbe cosa indegna, e scandalosa, che i vescovi si prestassero ad ingiungere al clero la detta preghiera in un tempo, in cui chi comanda nelle due divisate provincie sconvolge il buon ordine, rapisce i beni, inceppa la giurisdizione ecclesiastica, allarga il freno al mal costume. Vuole pertanto il s. Padre che i vescovi non si prestino in alcun modo sia direttamente, sia indirettamente a prescrivere tale orazione. Che se il governo la ingiungesse da per se stesso, è in tal caso mente del s. Padre, che i vescovi tengano una condotta meramente passiva.

Passando alla seconda circolare, si rammenta ai vescovi il famoso breve di Benedetto XIV. dei quindici settembre 1746. diretto al p. Paolo Simone da s. Giuseppe carmelitano scalzo e missionario in Olanda, riportato al tom. 3. del suo bollario num. 3. come pure nell'opera del sinodo diocesano lib 6. cap.

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in cui inculcasi l'obbligo di condursi esattamente, e di istruire il clero ed il popolo a forma del medesimo lo che si rende tanto più necessario, quanto che nella lettera di commissione non solo prescrivesi il medesimo registro civile, s'insinuano dei principj, e delle massime contrarie alla dottrina della chiesa sul sacramento del matrimonio esposta segnatamente nel sacro concilio di Trento, ai quali principj e massima oppone nel suddetto breve Benedetto XIV. la vera dottrina caltolica. Vi è però nel caso presente una circostanza più dolorosa, e più critica di quella contemplata da Benedetto XIV. ael citato suo breve. In esso in fatti si parla nel caso, in cui il registro, o sia l'atto civile del matrimonio venga immediatamente ordinato dalle vigenti leggi del governo, laddove nel caso nostro il governo insinua ai vescovi 141 di diramare ai

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parrochi gli ordini più stringenti per ciò che riguarda il ricordato dovere nell'amministrazione del sacramento del matrimonio cioè di non amministrare ad alcuna coppia il sacramento del matrimonio, se prima non abbia sotto occhio il certificato del premesso registro civile nelle forme. senza di cui ( come si aggiunge nella lettera ) mancherebbe il contratto e con es◄

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verno, dell' avv. Baccili vice-economo della fabbrica di s. Pietro, e dell'avvocato Rufini luogotenente dell' a. c. Il primo fu deportato in Ancona, e gli altri tre ristretti nel forte s. Angelo. Più: Il comandante francese in Fo

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so la base del sacramento, di modo che le unioni che ne guissero appoggiate al solo atto sacro, sarebbero illegittime →. Con tale insinuazione si vorrebbe, come ognuno vede, dal governo, che fosse pubblicata tal legge col mezzo, e per bocca dei vescovi, ch'è quanto dire, si vorrebbero rendere complici i vescovi dell' attentato e degli errori del governo. Altrettanto si pretese anni indietro anche in Francia, e qualche vescovo che si fece il promotore, o sia l'intimante ai parrochi di questa medesima disposizione del governo, cagionò presso tutti i buoni gravissimo scandolo. A rendere illecita, ed a proibire una tale diramazione, oltre le due prime ragioni già riportate come ostacolo ad ordinare le preci per l'imperatore, concorrono al◄ tresì le seguenti.

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1. Benedetto XIV. nel più volte citato suo breve riguarda, come pericoloso di permettere le formalità civili volute đai governi alla celebrazione del matrimonio in faciem ecclesiae, tesa la facilità che i due sposi dopo seguita civilem illam, et politicam caeremoniam ... nimirum inter se familiariter agant, aut sub tecto in communi habitent,, familiarità che come esso Pontefice soggiunge ,, quamquam esse possit sine flagitii certe periculo, et suspicione non vacat: quindi conchiude che,,ad hujusmodi evitanda pericula consultius fore, ut catholici non nisi matrimonio jam antea in faciem ecclesiae inter se legizime celebrato ad illam explendam civilem coeremoniam saecuJarem magistratum adirent,, Ora un vescovo insinuando ai par. rochi di non amministrare ad alcuna coppia il sacramento del matrimonio, se prima non abbia sott' occhio il certificato del premesso registro civile, viene esso stesso a farsi promulgatore e conculcatore delle disposizioni del governo, che vuole premessa la civile cerimonia al matrimonio coram ecclesia, ch'è quanto dire, viene a prescrivere una cosa, che dal lodato Fontefice si riguarda giustamente come pericolosa. Quanto ripugni ciò al carattere, all' ufficio, ai doveri d' un vescovo talmente chiaro, che non ha bisogno di prove..

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2. L'ordine o invito del governo sull' oggetto in questione, mon solo è accompagnato da massime e proposizioni contrarie

ligno fecesi lecito di arrestare il marchese Giberti maggiore delle truppe provinciali per essersi ricusato di far consegnare le armi destinate agli uși di detta truppa, e quindi ardi di farle togliere a viva forza dalle respettive

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alla dottrina della chiesa sul matrimonio, ma di più è basato sulle medesime massime. Si dice di fatto nell'ordine, che 29 riesce di tutta necessità che sia fatta legge ai parrochi di non amministrare ad alcuna coppia il sacramento del matrimonio se prima non abbia sott'occhio il certificato del premesso registro civile,, Ma e per qual ragione secondo, la mente del governo il fare una tal legge riesce di tutta necessità? Eccolo, perchè (come dicesi nella lettera della commissione ) è imposto dal codice l'obbligo del registro per la validità del matrimonio perchè senza di esso (il registro civile) mancherebbe il contratto, e con esso la base del sacramento, perchè le unioni che ne seguissero appoggiate al solo alto sagro sarebbero illegittime . Se dunque un vescovo promulgasse egli, od ingiungesse ai parrochi l'esecuzione di una tal legge, verrebbe ad acconsentire, e ad ammettere, almeno implicitamente gli erronei principj, ne'quali il governo ha palesemente appoggiata detta legge, e pei quali ha creduto essere di tutta necessità di emanarla.

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Che se il sapientissimo Pontefice Benedetto XIV, con tanta eura ha raccomandato al missionario, cui diresse il suo breve, e con esso a qualunque ordinario, e superiore ecclesiastico l'istruire i fedeli abitanti in paesi, ne' quali sono in vigore simili leggi, sulla vera dottrina della chiesa intorno al matrimo❤ nio, onde essi sappiano che cum civili magistratui . . . . matrimonii celebrandi causa se sistunt, actum mere civilem exercere; ceterum tunc quidem nullum a se contrahi matrimouium,,. Cosa avrebbe detto se gli fosse stato esposto il caso, in cui un vescovo si volesse obbligare ad emanare esso stesso una legge giudicata dal governo di tutta necessità per assicurare la validità del matrimonio, la legittimità dell' unione, il contratto, e con esso la base del sacramento ?

In virtù di tutti questi forti riflessi, mentre sua Santità torna a ricordare ai vescovi di attenersi nella circostanza dell' antico registro civile al sopraddetto breve di Benedetto XVI, proibisce loro espressamente di fare ai parrochi la legge di non amministrare ad alcuna coppia il sacramento del matrimonio, se prima non abbiano sott' occhio il certificato del premesso registro civile nelle forme.

eustodie, ad onta delle proteste, e delle rimostranze del maggiore e degli ufficiali(1). Più: Il comandante francese in Viterbo recossi da quel prelato governatore, facendogli sapere ch' era proibito a qualunque ecclesiastico

espresso

(1) Conviene nel presente caso conoscere ciò che intervenne all' eminentissimo Gabrielli, che come da noi si disse, fu deportato nella notte dei diciotto giugno, e conoscere d'altronde la lettera che il porporato suddetto per ordine di sua Santità trasmise al generale francese. Sappiasi adunque che Il giorno sedici giugno, circa le ore tre pomeridiane presentaronsi nelle camere del card. Gabrielli pro-segretario di stato due ufficiali francesi, i quali con ordine del conte generale Miollis, si permisero di biffare lo scrittojo in cui riteneva il porporato le carte, di apporvi una sentinella di vista, ed intimargli di partire nel termine di due giorni da Roma per recarsi al suo vescovato di Sinigaglia. Pio VII. commosso dall'enormità di tante violazioni ordinò all' istesso porporato di significare in data dei diecissette giugno al predetto generale.

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Che l'accumulare oltraggi ad oltraggi, l'aggiungere fea ferite, il calpestare senza ritegno la dignità del capo visibile della chiesa, e l'incrudelire contro gl' innocenti, ed oppressi, era riserbato al secolo decimonono.

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Che fra gl'immensi abusi di forza, la memoria de' quali sorprenderà la posterità, il più terribile e clamoroso si è quello commesso jeri sulla persona dello scrivente, e come cardinale, e come vescovo, e come ministro di stato; commesso per oggetto di spiritual direzione, in cui non ha avuto altra parte, che quella di una ben dovuta obbedienza; commesso contro lo stesso Pontificio palazzo, contro le leggi le più sacre, e più rispettate dal diritto delle genti, e dal consenso di tutti i popoli, e in tutti i tempi, da che si conosce una civilizzazione. Che se è sacro il domicilio di un ministro estero nel ter ritorio di un altro principe, e si considera per una violazione del diritto pubblico l'uso della forza in questo domicilio medesimo;cosa dovrà mai dirsi della forza usata sulla persona del proprio ministro nell'abitazione del principe territoriale? Cosa di questa forza estera all' occupazione del deposito il più intangibile della fede pubblica, com'è lo sgrigno di questo ministro? Cosa finalmente di questa forza spinta al segno di appostarvi una sentinella di vista?

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tanto secolare che regolare l' aecesso a questa dominante, e che perciò non avesse rilasciato ad alcuno de' medesi mi sotto qualsivoglia pretesto il solito passaporto. - Non altro restando a sua Santità che il libero reclamo mise al cardinal Pacca di tenere questa via per inviare al general Miollis le sue querele, intorno agli avvenimenti quanto singolari, altrettanto fatali nel suo principio, e nella sua conseguenza alla sovranità Pontificia, ed all'ordine pubblico (1). Facendo conoscere, che il primo attentato non poteva essere stato che l' opera tenebrosa dei fal

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Che questo ministro non è il solo ministro politico di un principe temporale, ma ministro di un sovrano la cui qualiià primaria è quella di capo della chiesa, e lo è non solo gli affari temporali, ma per gli spirituali eziandio di tutto l'orbe cattolico.

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Che l'ingiuria fattagli non è solamente la più grande violazione, che possa commettersi contro tutti i principj del pubblico diritto ma la più oltraggiante che possa darsi contro la dignità del primo Gerarca, contro la libertà, la indipendenza e la sicurezza dovuta al medesimo per tutti i rapporti religiosi del suo spirituale Primato, che si protesta con le parole di voler rispettare, ma che si conculca col fatto.

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Che in questa operazione ravvisa una violenza che non ha esempio; violenza da cui nelle stesse belliche intimazioni nello stesso momento di ostilità si sono sempre astenuti vicendevolmente i sovrani; violenza contro la quale dopo aver protestato innanzi a Dio, intende di protestare altamente in faccia al mondo intero.

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Che è suo espresso volere, che lo scrivente non si allontani dal suo fianco, e non si presti all' intimo di una potestà illegittima, che non ha su di esso alcun diritto.

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Che se la forza, abusando al suo solito, calpestando i principj più sacri, lo svellerà con violenza del suo seno, si vedrà rinnuovare quello spettacolo, che quanto sarà riprovabile per chi lo eseguisce, altrettanto sarà glorioso per chi lo soffre..

(1) Osserva fra i documenti giustificativi le lettere del segretario di stato card. Bartolommeo Pacca al general Miollis dei quindici e trenta giugno, e due luglio .

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