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il s. Padre, per quanto da lui dipende, è nella più ferma risoluzione di non mai dipartirsi . - Consalvi (1).

XXII. II s. Padre ad oggetto di evitare che si credesse, che la occupazione di Civitavecchia fosse seguita di suo consenso, e che avesse con ciò abbandonata la sua neutralità, fece che i suoi nunzi ne partecipassero alle corti dove risiedevano l'infausto avviso (2). Ma sembrava che tutto ciò ancor fosse poco, se non fossero sopragiunti nuovi motivi di dolore, e nuovi forieri di ulteriori avvenimenti, che preparavansi. Da un foglio del monitore, senza alcun preventivo concerto senza nemmeno alcun semplice avviso, rimase instruito il s. Padre, che gli stati di Benevento e Pontecorvo di SOvranità libera, e dipendenti dalla s. Sede gli erano stati tolti, e se ne era disposto senza alcun titolo, e senza alcuna legittima autorità in favore dei signori di Talleyrand e Bernadotte, erigendoli in feudi dell'impero francese, parlando soltanto d' una futura indennizzazione, che non lasciava di essere eziandio sospetta, subitoche vedevasi resa comune anche alla corte di Napoli che non possedendo quegli stati nulla perdeva. Da ciò ebbe luogo la nota del card. Consalvi al ministro Alquier (3).

XXIII. Siccome le accuse contenute in diverse lettere del governo francese contro il card. Consalvi, e le significazioni fatte conoscere relativamente allo stare mai sempre al fianco di sua Santità, fecero giudicare al s. Padre che fosse opportuno, a solo fine di rimuovere l'oggetto delle querele, e dei pretesi torti, l'aderire finalmente alle sup

(1) Lettera del card. Consalvi al ministro Alquier dei sedi ci giugno.

(2) Vedi la nota del card. Consalvi a tutti i nunzi apostolici in data degli undici giugno.

(3) Osserva nei documenti giustificativi la nota suddetta dei sedici giugno.

pliche del sullodato cardinale, il quale vedendosi in diffidenza e in così sinistra opinione del governo francese, e considerando inoltre che egli più non potea essere utile, ma anzi dannoso conservando il posto, avevane implorata la dimissione. Per la intima connessione di tale incidente con l'affare principale, giova anche conoscere il dispaccio con cui si annunzio al card. legato Caprara la ottenuta dimissione.

XXIV. Dato sfogo alle varie materie degli altri dispacci, che reca all' e. v. questo straordinario corriere, devo necessariamente intertenerla in questi, e su ciò che riguarda lo scrivente .

Vostra eminenza ha veduto nelle diverse note di codesto governo che mi ha trasmesse, quali sentimenti si annunziano sul mio conto, e in quale vista e opinione io sia presso di s. m. i. Le stesse cose sono state scritte al rappresentante Alquier, e gli si è ordinato espressamente di dirmele. La qualità delle accuse delle quali i miei nemici sono riusciti a persuadere contro di me la m. s., non può esser più grave. Non solamente mi si canonizza per nemico deciso della Francia, e per aderente ai nemici suoi, ma per protettore ancora dei cospiratori contro la medesima, e non so dirlo senza orrore, per cospiratore io stesso, attribuendomisi i più gravi disegni di eccitare in diversi modi le popolazioni contro la Francia. Certo, se quando io facevo in Parigi il concordato, qualcuno mi avesse detto, che fra poco tempo sarei comparso agli occhi del governo francese sotto questo aspetto, avrei creduto di sognare. Il mio carattere, i miei principi, la mia qualità, e dignità, tutta la mia condotta palese a tutto il pubblico, mi dispensano dall' estendermi in difese. Io dichiaro solennemente in poche parole, e sul mio onore (che in tutte le mie azioni ho dimostrato sempre quanto mi è caro ), che i miei nemici mi hanno indegnamente calunniato, e che io sono in tutto

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innocente. Ma v. e. dovrà convenire, che caduto io in tanta diffidenza del governo francese anzi visto dal medesimo sotto i colori sovrindicati, non posso e non debbo più conservare un posto, in cui non solamente non posso più esser utile, ma posso essere anche cagione, benchè senza colpa, dí gravissimi danni. Io sono troppo attaccato alla s. Sede al mio sovrano e benefattore 9 e al mio paese, per non considerarmi obbligato a rimuovere col mio ritiro quella occasione di mali, che possono risultare dall' essere io in posto. Il governo francese ha fatto chiaramente conoscere questo suo desiderio, esprimendosi nell' ultima nota di Talleyrand, che i sentimenti di s. m. verso il s. Padre le fanno desiderare, che allontani dal suo fianco i cattivi consiglieri che lo circondano (1). Tutte le precedenti note,nelle quali sono io designato e nominato espressamente, e ciò che si è scritto contro di me ancora al sig. Alquier, fanno conoscere ad evidenza, che la significazione fatta a sua Santità del suddetto desiderio, o è diretta solamente contro di me o mi riguarda almeno principalmente. Fino dai primi giorni, che io mi avvidi di essere caduto in sospetto e diffidenza presso la Francia, pregai il s. Padre a permettermi di ritirarmi, nella vista appunto di non più poter essere utile, e di poter essere forse dannoso. Il s. Padre non volle mai acconsentire alle mie replicate istanze, credendo che le calunnie de' miei nemici si sarebbero scoperte e dissipate. Accresciutesi però queste nel numero e nella qualità, che v. e. conosce e interessando cosi da vicino la sicurezza e tranquillità pubblica, sua Santità ha finalmente creduto di aderire alle suppliche, e mi ha accordato la mia dimissione. Posso assicurare v.

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(1) Vedi il §. 1. del presente volume, e la nota prima in cui parlasi del porporato suddetto.

e. che il s. Padre nell' accordarméla ha avuto in vista di soddisfare il governo francese, e e dargli una riprova del desiderio che ha di coservare con esso la buona armonia, ed allontanare ciò che possa comprometterlo. Io vado dunque a cedere immediatamente il posto al mio successore, ed a ritirarmi affatto dagli affari politici, dai quali ho raccolto troppo amaro frutto per abborrire vie più che la morte di mai più mischiarmene. Una sola grazia io desidero da v. e., a cui mi dà diritto non meno la mia -innocenza, che la sua bontà per me. Troppo interessa il mio onore, che sul mio conto non rimanga quella obbrobriosa opinione, che i miei nemici sono riusciti ad ispirare a s. m. l'imperatore, ai ministri ai ministri e magistrati francesi . - Vostra eminenza, ed io non ne dubbito punto, si degnerà all' opportunità di far palese e conoscerc la mia innocenza, e di rendermi giustizia. Questo favore ch' io spero dall' e. v. ecciterà la mia riconoscenza verso di lei (1)

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XXV. Pio VII. accordò con suo particolare chirografo alla città di Fermo il privilegio di avere un consolato, o sia tribunale di commercio durante il corso della solita fiera dei ventisette giugno. - Evvi di sovente chi adoprasi con ipocriti principj d' illudere la moltitudine, e conciliarsi la venerazione ed il rispetto de' congiunti facendo pompa d'una chimerica santità. Il p. Antonio Maria Merenda dei predicatori,come commissario generale della sacra inquisizione, con decreto dei ventiquattro luglio condannò Cristina di Giacomo Bricco piemontese di anni venticinque moglie d' Angelo Conti romano, a vivere separata dal mondo fra vergini claustrali, come in luogo di carcere, poichè secondo l'apostolo debbonsi i pubbli

(1) Lettera del card. Consalvi segretario di stato al card. legato a latere Caprara dei diecissette giugno.

ci peccatori ad esempio degli altri pubblicamente correg gere (1), per aver essa in Roma promulgato ed asserito, essere stata reiterate volte dal cielo favorita con ispeciali divine visioni ed apparizioni. - Durante l'urgenza degli attuali bisogni e per titolo d' aumento meramente temporaneo e provvisionale, sì in Roma che in tutti generalmente i luoghi delle provincie dello stato ecclesiastico, cominciando dal prossimo primo giorno del mese di settembre, il dazio camerale del macinato del grano, che in allora era di quattrini quattro a decina, si aumentò a quattrini otto; e tale sovrana disposizione gravitò eziandio sull' introduzione de' tabacchi esteri, e macinato del così detto grano saraceno. Si pubblicò in seguito ai dodici settembre una notificazione sulla esatta esecuzione del precitato editto (2) .

XXVI. La occupazione militare di Civitavecchia, di cui si è parlato di sopra, divenne ben presto una occupazione politica. Il generale Duhesme volle esercitare i suoi diritti relativi al civile, e li volle esercitare in tutta quella ampiezza, che potevali esercitare lo stesso sovrano. Egli ordinò ai magistrati di quella città, che d ora innanzi non dovevano riconoscere altro capó, e che dovevano dipendere dai suoi ordini, ed in suá assenza dal comandante della piazza. Egli osò perfino di annunziare la sua volontà a quel prelato governatore con tale arroganza, nel quale è da rimarcarsi non meno la materia, che il tuono con cui è scritto. Si ordina al sig. governatore di Civitavecchia di rendere esattissimamente il medesimo conto che egli era consueto di rendere alla corte di Roma, e continuando a fare la giusti

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(1) Peccantes coram omnibus argue, ut et caeteri timorem habeant. I. Tim. e. c. 5. v. 20.

.. (2) Raccolta di bandi, notificazioni ec. Editto dei diecinove agosto.

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