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inglesi entrati uno in porto d' Anzio, e l'altro in Fiumicino. La gravezza dell' attentato commesso in tali fatti rilevasi dal reclamo che immediatamente ne fece fare il s. Padre al ministro francese Alquier (1), a cui il ministro rispose senza che poi fosse più dato, alla cosa altro sfogo, malgrado le replicate successive rimostranze. Questi fatti sono sufficienti a dare una idea delle violenze che i ministri francesi sempre protestando di agire secondo gli ordini espressi, che ricevevano direttamente da Parigi, hanno fatto soffrire al s. Padre in, ogni genere di cose, senza alcun riguardo alla sua dignità. A mali si orrendi si aggiunse una forte e replicata scossa di terremoto, che recò un generale spavento, scossa la quale fecesi sentire la mattina dei ventisei agosto circa le ore tredici.

XLVII. Giunto era intanto di ritorno da Parigi il corriere Livio, con le risposte del card. legato Caprara ai dispacci, che avevangli recato gli ordini del s. Padre, e il detto card. legato scrisse al card. segretario di stato una interessantissima lettera con cui fece conoscere, che in una nuova udienza datagli nel di trenta luglio dall'imperatore, la m. s. avevagli onninamente dichiarato il suo malcontento per la negativa data dal s. Padre nella nota dei quindici luglio al ministro Alquier, con la quale erasi ricusato alle due domande della chiusura dei porti ad ogni bastimento inglese da guerra e di commercio tanto in quella, che in ogni futura guerra, della consegna alla Francia di tutte le fortezze Pontificie nel caso di sopra contemplato, come se qualunque armata nemica della Francia minacciasse uno sbarco su qualche punto d' Italia. Il card. aggiunse

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(1) Lettera del card.Casoni al ministro Alquier dei ventisette settembre.

che la m. s. aveagli commesso di nuovamente insistere presso il s. Padre, perchè inviasse la dichiarazione richiestagli, adesiva a tali domande, esprimendosi inoltre, che persistendo il s. Padre nella negativa, si sarebbe subito impossessato dello stato Pontificio, e avrebbe stabilito un senato in Roma; ed aggiunge, che una volta che Roma, e il suo stato fossero nelle sue mani non ne sortirebbero mai più. Sua eminenza chiuse lạ sua relazione con dire, che s. m. aveva terminata l'udienza con queste parole: Scrivetc così, e non tacete alcuna delle cose che vi ho detto, lo che rileverò dalle risposte, che mi comunicherete (1),,.

XLVIII. Questa relazione del card. legato fece giudicare al s. Padre esser necessario, che la risposta la quale doveva essere comunicata all' imperatore, come questi aveva esatto con le riferite parole, fosse di tal natura che dimostrasse a un tempo la fermezza irrevocabile nelle già prese risoluzioni, la disposizione la più decisa a soffrire ogni genere di avversità di violenza, piuttosto che recederne, e la persuasione intima dello stesso s. Padre, il quale non per maneggio dei consiglieri, come sempre l'imperatore si esprimeva, ma per essere egli stesso animato dai dichiarati sentimenti, aveva presa tale risoluzione e vi si manteneva costantemente. Non avendo ricevuto mai risposta dall' imperatore alle lettere scrittegli negli ultimi mesi di suo proprio pugno, non crede conveniente lo scrivergli di nuovo direttamente, ma prese il partito di scrivere egli stesso sollecitamen-te, piuttosto che fare rispondere dal suo ministro al card. legato la lettera, che doveva essere comunicata da esso all'imperatore.

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(1) Dispaccio del card. legato Caprara al card. segretario di stato del primo agosto.

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XLIX. Il nostro card. segretario di stato ha posto sotto i nostri occhi il suo dispaccio del primo agosto recato dal corriere Livio, in cui ella riferisce tutto ciò che s. m. le disse, e le commise di scrivere nell' adienza datale nel dì trenta luglio.

Ci siamo raccomandati vivamente a quel Dio, di cui siamo, benchè indegnamente, vicario in terra e all'apostolo s. Pietro, di cui siamo successori, per ottenere i lumi, che determinassero la nostra risposta. Eccola e glie la diamo noi stessi, e di nostra mano, perchè ella sia sempre più convinta dell'importanza, che noi mettiamo in così grave affare, e quanto siamo intimamente animati dai sentimenti, che siamo nella necessità di farle conoscere .

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Le forti ragioni per le quali noi abbiamo significato di non poterci prestare a fare la dichiarazione che ci si è domandata, sono troppo solide e troppo giuste, perchè non è possibile di cambiar sentimento. Esse non sono fondate sopra umani riguardi, come si suppone, sopra gli essenziali doveri, che ci impone la nostra qualità di padre comune, e la natura del nostro pacifico ministero. Sia pur vero, che gl' inglesi, come s. m. le ha detto, non crederanno mai, che Roma siasi perduta per loro a questo titolo, nè glie ne sapranno mai buon grado. Nel determinare la nostra condotta noi abbiamo avuto in vista i nostri obblighi, e il non cagionare dei danni alla religione con la interruzione delle comunicazioni fra il capo e le membra (dovunque esistono cattolici) provocando noi stessi tale interruzione con esercitare atti ostili, e porci in uno stato progressivo di guerra con alcuna nazione. Se i danni della religione provengono da un fatto altrui, come sarebbero quei che risulterebbero dalle misure, che fosse per prender s. m., non aderendo noi a ciò che ci si è dimandato, noi ne piangeremo nell'amarezza del nostro cuore, e adorere

mo i giudizi di Dio, che pei suoi occulti disegni li permettesse. Ma quei danni che risulterebbero dal tradire noi stessi ed il nostro caratteré associandoci contro la natura del nostro ministero ad uno stato di guerra, e provocando con ciò gli altrui risentimenti, preverrebbero da un fatto nostro, e questo è quello che noi non possiamo fare.

Noi non possiamo per evitare un male che ci sia minacciato, cagionare noi stessi alla religione con un fatto proprio i mali, che abbiamo accennato di sopra. Ma noi non possiamo nemmeno tralasciare di rilevare, che quegli stessi mali che ci sono minacciati, non sono mali necessari. Sono mali che dipendono dall'assoluta volontà di s. m. il farli, o non farli accadere.

La sua religione, la sua giustizia, la sua magnanimità medesima, la memoria di tutta la nostra condotta verso della stessa m. s., parleranno, vogliamo ancora sperarlo, al suo cuore e non le permetteranno dimostrarsi ai presenti non meno che ai posteri, non già il protettore e il benefattore, ma il persecutore della s. Sede. Ma in ogni evento noi riporremo la nostra causa nelle mani di Dio che è sopra di noi, sopra tutti i regnanti i più grandi, i più poteati, ed affidaremci al suo divino ajuto, il quale nel tempo fissato dalla sua sapienza non potrà mancarci.

Sua m. si persuaderà facilmente di ciò, ch'ella ci riferisce averle detto nella suddetta udienza, cioè,, che una volta, che Roma col resto del nostro stato fosse nelle sue mani non ne sortirebbe mai più,, . Ma noi risponderemo francamente, che se s. m. conosce di avere in mano la forza, noi conosciamo che sopra tutti i monarchi vi è un Dio vindice della giustizia, e del la innocenza, a cui soggiace ogni umano potere.

Ci si fanno riflettere i mali, che possono ridondare alla chiesa e allo stato da una rottura, la quale perà

Tom. II.

E

non perverrebbe dalla parte nostra. Noi siamo pur troppo ridotti a vedere in ciascuna delle conquiste di s. m. rovesciare in tante parti le istituzioni religiose e le regole della chiesa. Noi siamo pur troppo ridotti a vedere gemere il nostro stato sotto gl'immensi dauni, che arreca il dispendio enorme, che contro ogni diritto siamo forzati da si lungo tempo a subire per le truppe così stazionate, che di transito. Noi siamo pur troppo ridotti a vedere di continuo compromessa, e avvilita in faccia non meno ai nostri sudditi, che a tutto l'universo, la nostra dignità con tanti atti, che gli agenti di s. m. eseguiscono alla giornata per espresso ordine (come essi sempre rispondono ai nostri reclami) della stessa m. s.; ci si ripete ora la minaccia della imminente usurpazione di Roma e del resto del nostro stato, se non ci prestiamo a fare la dichiarazione, che ci si domanda. Non potendo noi per le giustissime ragioni già sopra esposte eseguirla, siamo disposti a sofferire ancor questo compimento degli obbliqui disegni, che ben ci accorgiamo che da tanto tempo si sono concepiti contro questa s. Sede. Noi siamo nelle mani di Dio. Chi sà! Forse la persecuzione di cui s. m. ci minaccia, è decisa nei decreti del cielo per ravvivare la credenza e riaccendere la religione nel cuore dei cristiani, e noi ravviseremo nella medesima una via occulta della provvidenza, che adoriamo da gran tempo con fede, e con rassegnazione.

Ella ci dice, che l'imperatore le ha fatto rimar

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che la cosa è pubblicata, e che perciò egli non è nel caso di dare in dietro. Noi non lasciamo di farle riflettere, che la sua grandezza e magnanimità nalla perdono quando egli non cede ad un potentato della terra che gareggi con lui nella potenza e nella forza ma quando si arrende alle rimostranze , e alle preghiere del sacerdote di Gesù Cristo, e suo padre ed amico. Ma se questo riflesso non è bastante a persuaderlo, noi

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