plice aspetto: per la maggiore facilità di miglioramento colturale la più radicale evoluzione delle forme. Finchè la musica non possedeva una scrittura propria, sicura, di facile lettura, la sua da ri pratica e la sua diffusione non potevano essere che assai lente e difficili: i cantori dovevano apprendere dalla viva voce de' maestri le melodie, perchè la notazione neumatica, dalle indicazioni approssimative, sovente alterate dagli amanuensi, poteva servire soltanto chiamo mnemonico a chi avesse già apprese auricolarmente le stesse melodie. Per la stessa ragione di insufficienza e di difficoltà grafica, le forme musicali dovevano permanere allo stato primordiale di semplice monodismo, in teoria, mentre nella pratica potevasi tutt'al più eseguire empiricamente qualche rozzo ampliamento armonico dato da intervalli consonanti moventisi paralleli alla melodia (ciò che in alcune chiese di cam pagna fanno anche oggi i contadini ignari di musica); ma ogni tentativo di discanto, di artistico contrapposto armonico melodico, anche embrionale, doveva infrangersi di fronte alla impossibilità di segnare in modo esatto i rapporti proporzio nali calcolabili fra i valori tonali e ritmici delle diverse cantilene (1). Grande dunque è la benemerenza di Guido per la sistemazione data alla nuova grafia musicale: la sua invenzione fu vera pietra basilare del meraviglioso progresso e della radicale trasformazione dell'arte, che in seguito, da semplice (monodica) potè così avviarsi a divenire complessa (polifona). Ed è opportuno ciò ricordare in quanto anche oggi da molta gente - non esclusi, ahimè, parecchi musicisti - si ritiene che il principale o unico merito del dotto autore del « Micrologus » consista nell'aver inventato le note (intendasi il nome delle note). Infatti, ogni trattatello di teoria riporta i versi dell'inno a S. Giovanni (2) e narra come il monaco aretino ne trasse casualmente i monosillabi, utilizzandoli come mezzo mnemonico auricolare nelle esercitazioni scolastiche, adottati poi generalmente nell'uso didattico come denominazione unica e definitiva delle note, in luogo delle lettere dell'alfabeto. Ma se alla sola invenzione del nome delle note si fosse limitata l'opera di Guido, nessuna (1) Intendo riferirmi alla musica vocale. Quanto a quella strumentale, sono d'accordo col prof. GIULIO FARA (v. « Rivista Musicale Italiana » anno 1926, fascicoli 3o e 4o) nel ritenere che venisse praticata ab antiquo una specie di rozza polifonia, ma in modo affatto empirico. L'ȧozavλos (tibia utricularis), il díavios (duplice tibia) dei greci, le sarde launeddas, le zummare tripoline ne dànno testimonianza sicura (cfr. V. FEDELI, Zampogne Calabresi in « Sammelbände der Internationalen Musikgesellschaft ». Lipsia, 1912, pag. 433). La vera polifonia vocale, nell'odierno significato, non potè affermarsi che dopo la sistemazione della grafia indicante in modo esatto oltre gli intervalli tonali anche i valori di tempo (musica mensurale). (2) UT queant laxis REsonare fibris MIra gestorum FAmuli tuorum Sancte Ioannes. Nel 1882, inaugurandosi in Arezzo il monumento a Guido, ARRIGO BOITO, geniale ricercatore di giochi di parole, dettò per l'inno (di non grande valore) musicato da Luigi Mancinelli ed eseguito durante la cerimonia, i seguenti versi: UTil di Guido REgola superna, MIsuratrice FAcile de' suoni, SOLenne or tu LAude a te stessa intuoni, SIllaba eterna. (Edizione Ricordi, 48327). benemerenza gli sarebbe riconoscibile, in quanto nessuna utilità la denominazione sillabica, in sostituzione di quella alfabetica, ebbe ad apportare al progresso dell'arte; tanto è vero che laddove come in Germania si seguitò a indicare i suoni, come tuttora si pratica, mediante l'antica denominazione alfabetica, l'arte ha sempre progredito e progredisce... Tra la denominazione monosillabica guidoniana e l'alfabetica, questa risulta razionalmente più appropriata, perchè con la serie ordinale progressiva A, B, C, D, E, F, G, viene a rappresentare i valori tonali gradualmente ascendenti de' suoni ettacordali, mentre la denominazione monosillabica, puramente convenzionale, nulla presenta, per se stessa, in analogia con la gradazione della scala. Chiarito quanto si riferisce all'altissima benemerenza dell'insigne monaco aretino e alla somma importanza storica della sua invenzione, devesi riconoscere opportuna e lodevole l'iniziativa presa dalla italiana Associazione di Santa Cecilia, di commemorare la ricorrenza, nove volte centenaria, con un congresso di Musica Sacra in Roma. Sarebbe stato anzi desiderabile che alla commemorazione avessero aderito non soltanto i cultori della musica chiesastica, ma anche quelli d'ogni altro nobile ramo dell'arte, e i pubblici istituti di coltura musicale. La commemorazione guidoniana e l'inaugurazione del Congresso ebbero luogo il 24 aprile nel salone de' concerti della Pontificia Scuola di Musica Sacra, con intervento d'autorità ecclesiastiche e di circa cinquecento soci ceciliani d'ogni regione d'Italia. Sua Santità Pio XI, in un Breve indirizzato all'eminentissimo cardinale Bisleti, protettore dell'Associazione ceciliana, e comunicato in principio di seduta ai congressisti, dava la sua alta approvazione e il più autorevole giudizio: << Eruditorum virorum sententia est, Guidonem de Arretio, insigne illud non tam Benedictini Ordinis quam Italiae atque adeo Catholici Nominis decus, in Almam hanc Urbem a Decessore nostro Joanne XIX accitum, nongentesimo ante anno concessisse. Qui, cum Romae commoratus est, inventa tum sua unde non modo veteri Ecclesiae Romanae cantui interpretando conservandoque tantum adiumenti ac firmitatis accessit, sed etiam veluti e fonte musicae artis incrementa prodiere , Apostolicae Sedis adprobatione atque auspiciis quodammodo in Laterano consecrasse videtur......... Saeculare quidem eventum aut silentio premi aut nullo fructu praeterire qui possit? Neque enim multos reperias homines qui cum isto vel in cultus divini dignitate provehenda vel in pariendis posteritati utilitatibus comparari queant ». Il padre Abate Ambrogio Amelli, il benemerito benedettino che cinquant'anni or sono (ricordiamo personalmente il macro, pensoso, attivissimo don Guerrino di allora!) si fe' coraggioso iniziatore della riforma ceciliana in Italia, tenne il discorso commemorativo. Egli che già in più d'una pubblicazione, con quella competenza di storico e di musicologo che rende illustre il suo nome, si era occupato del grande suo confratello benedettino, rievocò la figura storica di Guido, la genialità della innovazione con la quale aprì un'èra nuova nell'arte della musica assicurandosi la gloria e la riconoscenza dei posteri, le vicende fortunose della sua arte, la risonanza e l'efficacia immediata che il suo metodo ebbe in tutta Europa, le altissime lodi che i suoi contemporanei gli tributarono, prime voci in un coro che doveva prolungarsi senza posa attraverso le successive generazioni. L'Abate Amelli rivendicò con inoppugnabili argomenti storici la nazionalità italiana di Guido d'Arezzo, ricordando che un benedettino della Congregazione di San Mauro in Francia volle metterla in dubbio, confondendo il nostro Guido con un altro monaco Guido di quel monastero, vissuto un secolo dopo, ma ben presto si ricredette, rendendo omaggio alla verità. Guido è veramente italiano e di Arezzo, come affermano concordemente scrittori del secolo XI e XII e dei secoli posteriori, scrittori contemporanei di lui e i documenti aretini del 1013. « Guido d'Arezzo, si dette alle ricerche ed alle esperienze, ed un giorno, nelle sue elucubrazioni, esclamò: Grazie a Dio, finalmente l'ho trovata! Fu un lampo del suo genio musicale, frutto delle sue profonde investigazioni; era la scoperta del nuovo metodo scientifico per integrare la musica. E grande fu la di lui gioia, quando fattane la prova con i suoi piccoli cantori, questi di mese in mese avevano già imparato il metodo meraviglioso. «Ma la gioia di Guido fu presto amareggiata, e fu posta a dura prova mano mano che i discepoli progredivano. Ed ecco l'invidia e la opposizione dei cantori del suo monastero di Pomposa. Ma Guido, conscio della bontà della causa, l'affida alla Divina Provvidenza e prosegue per la sua ardita via. Accortosi però che la sua posizione a Pomposa era divenuta insostenibile, e che il suo Abate si era lasciato rimorchiare dai suoi avversari, Guido va a cercare altrove la pace. Ed eccolo divenuto ospite del Vescovo di Arezzo che diviene il suo mecenate ed eccolo di nuovo in mezzo ai suoi discepoli della sua scuola aretina. Questa diviene l'ammirazione di tutti; la fama giunge alle orecchie del Pontefice per opera dello stesso Vescovo che trovasi in Roma per assistere alla incoronazione di Corrado II. « Guido d'Arezzo visita il Papa il quale vivamente si interessa · al suo metodo, lo osserva, lo sperimenta, lo approva solennemente. <«< Nel 1027 la fama del musico Guido si diffonde per tutta Italia ed all'estero. I quarantasei Vescovi e i sedici Abati convenuti in Roma per la suddetta incoronazione, prendono vivo interesse al nuovo metodo musicale e lo introducono nelle rispettive diocesi. Da allora è una gara di scrittori e di cronisti nel glorificare Guido e nel magnificare la sua invenzione ». Dopo l'Abate Amelli parlarono i rappresentanti di varie organizzazioni cattoliche. Giorgio Barini portò l'adesione e il deferente saluto dell'Associazione Italiana de' Musicologi. E quindi ebbero inizio i lavori del Congresso, che si protrassero nei quattro giorni susseguenti. Sulle vicende della riforma musicale liturgica e dell'Associazione Italiana di S. Cecilia, rimando i lettori a quanto ebbi già a scrivere in questa Rivista (anno 1920, fasc. 4o) a proposito del XII Congresso tenuto in Torino. Nelle adunanze di Roma più che i problemi tecnici fondamentali della riforma, furono esaminati quelli riguardanti l'organizzazione e la propaganda, fatta eccezione per quanto riguarda l'arte costruttrice dell'organo. «Vento di fronda, od almeno una franca dichiarazione di modernità riferiva nell' « Osservatore Romano» il teologo Borghezio quella che fu dal Congresso unanimemente espressa in riguardo alla questione delle costruzioni organarie. L'Italia ha nella costruzione degli organi un suo primato, ed è quello che riguarda la fonica. L'estero non - |