Eppure questa è una delle pagine migliori della partitura e ci duole di non poterla citare per intero, sin dall'esordio all'epilogo che omettiamo. Considerata nella sua interezza, essa risponde commossa, allo stato d'animo di Gherardo. La parola, men rigidamente schiava della recitazione, non fotografica riproduttrice di gesti isolati ed arbitrari non rivissuti liricamente, tende a diventar forma: forma e canto; il tessuto orchestrale si eleva, in concomitanza con essa, con più linee sinuose e convergenti, in un contrappunto melodico che nel fluttuar lagrimoso del sincopato degrada per semitoni e quasi nello sconforto si inabissa. Così il musicista ritrova se stesso in un ordine di idee e di sensazioni e in un àmbito veramente suo, lontano dall'enfasi, dalle grandi parabole, e tutto raccolto nel suo tono, sia pur generico, di tristezza accorata. Tono predominante nella rievocazione della Maddalena ai piedi di Gesù; pagina delicata, radiosa e sognante, se pur un po' monoritmica e più statica che estatica (p. 101): Tale la lamentazione della madre e del popolo dinnanzi al giovinetto ucciso: una melodia che gli archi scandono, gemebondi, sulla quarta corda, sul movimento uniforme e funebre dei bassi e si ripercuote in un bel crescendo, fino a divenire spasmodica, in tonalità diverse (p. 433): O gente, gen.te... Non s'esce più. Siampresi in una re .te. Gherardo P dolciss. pie di PP. Un andar stanco e reticente come per attendere il suono della parola che non viene alle labbra, poi un tendersi e, nell'epilogo, il motivo di Mariòla che qui, nel scivolar della figura non più in maggiore ma in minore, si giustifica coll'immagine depressa del personaggio come è, e come la sente, nella dolce comunanza d'affetti, chi le sta vicino e la compiange. Perfino nell'intermezzo che si direbbe voler travolgere dalle premesse gli amanti nel piacere senza fine ed abbandonarsi alla gioia, alla felicità, si invoca, si implora, con un inciso che tornerà, |