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ALBO DEI "CAPITANI DEL POPOLO '

DEL COMUNE DI RIETI

NELL'ULTIMO QUARTO DEL SEC. XIV

RICOSTRUITO SUI LIBRI DELLE RIFORMANZE

ONO tardivi o insufficienti i documenti che abbiamo potuto rinvenire nelle nostre ricerche per l'antico archivio comunale di Rieti, per stabilire se il capitano del popolo sorse primamente come l'effetto della insurrezione delle arti aggruppate attorno al capitano e costituenti quasi un regime entro il regime comunale, o sorse invece per uno sdoppiamento dei poteri attribuiti al potestà e sono altresì insufficienti per mettere in chiaro quanto tempo potestà e capitano del popolo coesisterono a governare il comune (1). Nel breve periodo cui accen

(1) Nello statuto membranaceo del 1349, che si conserva ancora nell'archivio, stampato dal Blado (Roma, 1549), trovasi nel primo libro che potestà e capitano vengono eletti contemporaneamente.

Il più antico volume è appunto questo statuto: anzi in tutto il sec. XIII non abbiamo libri, ma solamente pergamene disciolte, e nel xiv, dopo lo statuto, il libro più vecchio è il primo delle Riformanze, quello cioè segnato: « 1376-1379 (B. 1.) ». Ci è adunque dato dall' unico documento in cui io ho potuto trovare uniti il potestà e il capitano, che fu una volta stabilito, cioè nel 1349, che a reggere il comune vi dovessero essere entrambi, ma i loro nomi io non ! ho più trovati uniti nè prima nè dopo il 1349. Nello stesso tempo

niamo in questa nostra scrittura, si trova che normalmente il comune è retto a potestà, ma in certi periodi si ricorre all'elezione del capitano del popolo, il quale, in questi speciali momenti, ha tutti i doveri e i diritti ed esercita anche tutti gli offici del potestà. Ma al regime del potestà si torna più tardi; talchè il regime del capitano sembra quasi indicare momenti di interregno nel governo del potestà. A questo partito non ricorsero certo a volta a volta i cittadini del comune di Rieti, per amore alla diversità del nome. Il cambiare per cambiare, talvolta è un difetto della nostra vita pubblica frettolosa e tumultuaria: ma gli antichi, anche in questo, erano migliori di noi. Non si potrebbe dire nemmeno che le discordie cittadine (sovente il capitano non rappresentava solo il potere esecutivo, ma il militare ancora) valgano a spiegarci queste vicende della carica del potestà. La spiegazione va invece cercata nelle relazioni del comune di Rieti con Roma. Queste relazioni sono antichissime, ed il loro studio avrebbe importanza anche per la storia del comune di Roma. Non si tratta qui di parlarne ex professo (1); ma, lasciando le menzioni fuggevoli o poco determinate, ci limitiamo a far sapere come in due bolle, l'una del 1226, l'altra del 1228, Onorio III e Gregorio IX, ricordando benevole promesse di Celestino e di Innocenzo, accettano sotto la loro protezione i reatini nello stesso modo col quale proteggono le città della Campania, chiedendo in compenso trenta libbre « de proventibus pontis ac maleficiorum iudicii ». Saltando adesso dal 1228 alla seconda metà del secolo XIV, risulterebbe dai libri delle Riformanze che, forse a tempo

non mi venne fatto di scoprir nulla intorno al modo col quale si venne in Rieti originando la magistratura del capitano del popolo.

(1) Nell' Inventario dell'archivio comunale di Rieti, di prossima pubblicazione, vedrà la luce anche un regesto delle pergamene, dove si troveranno parecchi documenti atti ad illustrare le relazioni che Rieti ne' secoli di mezzo ebbe coi pontefici e col comune di Roma.

di Gregorio XI o prima, si era fra le due città fermato. un patto, detto pactum adhaerentiae, che ci chiarirebbe di un legame ancora più stretto di quello accennato dalle due bolle di Onorio III e di Gregorio IX. Il testo di questo compromesso non abbiamo potuto trovare, ma possiamo darne una qualche notizia.

Sarà stata un'alleanza, un protettorato o una soggezione, questo pactum adhaerentiae? Nulla si può trarre dalla frase: patto di aderenza, perchè certe espressioni hanno un significato storico. Bisogna anzi nella interpretazione dei documenti storici non lasciarsi illudere dal suono delle parole. Ma per le testimonianze che recheremo innanzi e per la conoscenza della storia di Rieti, ci sembra di poter asserire che si trattava di una relazione intermedia fra l'alleanza e quella soggezione che non escludeva la libertà: libertà, intendiamo, nel senso che potevasi allora dare a questa parola.

Nel 4 del maggio 1380 i priori scrivono « Iohanni de « Cinthiis alme Urbis senatori, amatoribus pacis et con<< servatoribus iustitie reipublice Romane », lamentando che dal mancare la conferma loro e la scelta di uno dei quattro cittadini romani eletti dai reatini a candidati della potesteria, provenga alla città molto danno. « Nunc vero ob <«< confirmationis defectum sumus rectoris regimine desti« tuti » (1). Nel 5 del maggio 1382, dovendosi di nuovo provvedere intorno alla elezione del potestà, i priori insieme. coi tre capitani della custodia e coi sedici della Aggiunta, eleggono « quatuor cives Romanos cum salario, pactis et <«< conditionibus in adherentia, inter Romanum populum et «< comune Reate facta, contentis; et secundum formam <«< ipsius adherentie, et mictendos ad dominos Urbis ut << unum ex ipsis eligant, quem volunt, secundum adhe

(1) Rif. cc. 184-185 (B, 2).

<< rentiam prelibatam » (1). Nel 13 del maggio 1382, i priori scrivendo « Excellentissimis dominis conservatoribus «< camere, banderensibus quatuorque eorum consiliariis », dicono, fra le altre cose, che per porsi sotto l'egida del diritto, «adherentiam fecimus, continentem inter alia ut, tem«pore singulo semestrali, vestros cives .IIII. nominaremus, ipsorum nomina vobis presentaremus, ut unum . . . » (2).

Secondo questo pactum adunque, il Consiglio generale dei cento sceglieva una Giunta di buoni uomini, la quale, insieme con i quattro priori ed i tre capitani della custodia, nominava, fra i cittadini romani, quattro (e talvolta tre) candidati alla carica di potestà. La quaterna si rimetteva ai governatori di Roma perchè scegliessero da quella il potestà. Se il prescelto non accettava, si interrogavano gli altri, e quando il rifiuto era generale, si tornava ad eleggere una nuova quaterna. L'officio durava un semestre, e il giuramento si dava nei primi giorni dell'aprile e dell'ottobre. Quando accadeva che non si potesse venire a capo di nulla, si eleggeva il capitano. Ma la intermittenza di tale provvedimento e la stessa ineguaglianza nella durata dell'officio, ci dicono chiaro che codesto era espediente per sfuggire al disordine.

Nella fine del 1376 troviamo infatti il comune retto dal capitano, e poi bisogna condurci al novembre del 1378 per trovare di nuovo il regime a capitano del popolo che dura sino al 1384: poi, dopo un altro intervallo, ci imbattiamo in un altro capitano, nelle riformanze della prima metà del 1393.

Durano i capitani nella carica talvolta sette e talvolta anche otto mesi. E di uno di loro (il penultimo della nota nostra) è detto nella quietatio, che al salario si aggiunge una certa somma, per aver questi durato nella carica due.

(1) Rif. c. 64 (B, 4).
(2) Rif. c. 66 (B, 4).

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