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10 VIMU AIMBORLIAO

DG402

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V. 12

Roma Forzani e

C., tip. del Senato.

Nuovi documenti illustrativi DEL DIARIO DI STEFANO INFESSÚRA OF

DUE pontificati consecutivi del Riario e del Cibo, coll'ingrandimento delle famiglie e aderenze loro, recarono un lungo ingrossare e prevalere della colonia genovese in Roma. Tesorieri, appaltatori di gabelle, incettatori di grani, navigatori, noleggiatori di galee, sensali, banchieri, con tutto quel nugolo e quel formicolio di gente piccola che di tali ceti si traggono al seguito, s'accamparono dalla ripa romea al Belvedere del Vaticano e dalla Camera pontificia si distesero per sino alla riva d'Ostia. I registri pontificî dove si notava, come di consueto, quel che volevasi si credesse e avesse valore di precedente, e i registri de' camerlenghi ove si scrivevano le entrate e le spese de' pontefici, della curia, della Chiesa, della città, dello Stato confuse insieme, mettono a nudo per questo periodo tutta la prevalenza ligure, e accennano appena di lontano che, sotto l'influsso del trionfatore di Granata e lo scaltro maneggiarsi dei Borgia, si prepara forse per l'avvenire l'ascendente spagnuolo. Frattanto, non lungi da Ripa Grande, sulla riva destra del Tevere, i Genovesi avevano a questi tempi il loro quartiere, quasi la loro Galata romana. La chiesa di

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San Giovanni e la via dei Genovesi in que' pressi ne rendono ancora testimonianza. Il genovese Miliaduce Cigala, tesoriere del fisco, aveva eretto nel 1481 presso quella chiesa un ospedale pei marinari «< della sua nazione », come dicevasi allora da chi, oltre la zolla natale, non sentiva Italia. Ma ben presto, dopo l' ultimo pontificato ligure di Giulio II, lo spedale scomparve e dei beni manomessi si diè colpa <«< al sacco di Roma » (1) che, come la rivoluzione francese, è una delle tappe storiche, cui si fa carico anche delle colpe che non ebbe. L'orma dei Riario, dei Cibo, dei Della Rovere sparve cosi sotto a quella dei Catalani, dei Fiorentini e dietro alla mole incalzante delle nuove fortune che in Roma s'allettarono. Che se i procedimenti de' Riario seppero di violenza e d'ardire, quelli di papa Innocenzo, pur cospirando al medesimo fine, ebbero diverso aspetto. Perseguitare gli Orsini, invece de' Colonna, pareva, come in fatto era, cosa opportuna; indebolir le fazioni, sbattere i baroni l'un contro all'altro, assoggettarli all'eguale autorità dello Stato, ridurre la vita comunale nuda d'ogni valore politico, strappare al tribunale del Campidoglio l'antica giurisdizione criminale, al popolo l'ultima reliquia del diritto elettivo, era imprescindibile necessità di chi trovava da sacerdoti suoi predecessori una brutta signoria civile mal fondata e si faceva artificiale coscienza di rassodarla e compierla. E papa Innocenzo rivolse a questa bisogna un'industria di accorgimenti sottili e fertili, proprî davvero d'un mercante di San Giorgio. Non si videro più, a' suoi tempi, bande di assoldati collo stendardo delle somme chiavi scorrazzare le vie di Roma a disfare le case a' potenti cittadini. Ascoli, la terra di Muccia, Gualdo, Castel di Giove provarono essi abbastanza la soldataglia ecclesiastica. Ma anche nella provincia, il protonotario Torello non faceva tuttavia

(1) NIBBY, Roma moderna, II, 240. Il Nibby chiama il Cigala <<< Mario ».

ricordare il Vitelleschi, e Franceschetto Cibo non agguagliava Girolamo Riario che nell' ingordigia. Nè papa Innocenzo provocó a guerre; ebbe bensì a sostenerne inevitabili, più che altro per effetto della congiura dei baroni di Napoli e delle accennanti cupidigie di Francia sopra questo reame. Ma le guerre servivano al papa egregiamente per macerare la pace; dappoichè le guerre necessitavano danaro e scusavano il malo modo di trarne. E poichè non era da accrescimento delle gabelle, date per lo più tutte in appalto, che il pontefice poteva attendersi senza pericolo un significante accrescimento d'entrate, ricorse ad espedienti infelici per se stessi, ma opportuni per secondare colla mala finanza la mala politica: prezzolar la giustizia e ricorrere a quel che in quei tempi corrispondeva alle attuali emissioni di rendita, cioè la tassazione degli offici.

Coloro che li comperavano, infatti, ne ricavavano uno stipendio che corrispondeva al frutto del capitale d'acquisto. << Officia - scriveva il papa - quasi beneficia quaedam tempo<«< ralia »> (1); e il rinnovamento semestrale delle bolle con cui conferivasi la riconferma dei singoli offici equivaleva ad una ritenuta sulla rendita stessa. Ora, coll'occasione della tassazione di queste bolle, si riduceva nella giurisdizione della Camera pontificia quel che prima espressamente non ne dipendeva (2). Quegli offici ch'erano prima elettivi e che si facevano accessibili a chi pagasse e fosse accetto alla Curia, indipendentemente dall'elezione, lasciavano sentire che cosa vana fosse l'elezione a coloro che, ottenendoli per questo mezzo, dovevano poi, per esercitarli, pagar a ogni modo la tassa alla Camera pontificia. Verso l'annul

(1) V. più oltre la bolla di papa Innocenzo.

(2) INFESSURAE Diar. (SS. III2, 1219): « Impositaeque fuerunt << taxae omnibus officiis quarumcumque civitatum et terrarum subie<«< ctarum Ecclesiae et potissime officiis urbis Romae, etiam illis quae << ex tracta vel bussula crearentur, quod cives ipsi huc usque minime << passi sunt usquequaque ».

lamento dell'autorità del Comune questo era un gran passo, poco avvertito. Ma, quanto alla giustizia, v'era la Curia capitolina da spodestare della giurisdizione criminale; e lo scaltrissimo Cibo seppe procacciarlo con avvedutezza, non senza pretesto di sentimenti umanitari, non senza positivo vantaggio della finanza ecclesiastica.

È noto che il senatore rendeva ragione, applicando le sanzioni stabilite dagli statuti comunali. A chi percorre il testo del libro secondo di questi, occorre d'osservare facilmente la proporzione e la mitezza delle pene, ispirate in gran parte all'antico diritto, pecuniarie in gran parte, e da essere devolute alla Camera della città. Accade di rilevare altresì la rarità dei casi in cui pene corporali s' irrogano. Il procedimento stesso dei giudizi, avuto rispetto alla qualità dei tempi, è lungi dall'essere crudele. A tormenti processuali non poteva assoggettarsi se non il «< publicus latro, «fractor pacis, disrobator sive stratarum violator, homi«< cida, falsarius, fabricator false monete, patarenus, incen<«< diarius, violator mulierum, sodomita, et persona infa<«< mata de praedictis vel aliquo praedictorum » (1). Ora la Camera pontificia voleva far concorrenza alla Camera capitolina, e lo poteva in due modi: armeggiando contro la pena certa e pronta colla pena arbitrale e coll'indugio comperato; riscotendo gravi multe in quei casi in cui il tribunale del Campidoglio avrebbe dovuto punire il reo nella persona e non nella borsa; sottraendo all' immediata competenza del tribunale capitolino, al pericolo del carcere preventivo e della sentenza infamante, chi s'acconciava poi per danaro. Di questa condizione di cose, tanto ne' tempi de' Riario che dei Cibo, ragguaglia sovente l'Infessura nel Diario suo; e a noi sembra tutt'altro che inutile mettere a riscontro delle sue affermazioni i documenti (2).

(1) Cf. Statuta Urbis, II, 78.

(2) Arch. Vat. Diversa Camer. Sixti IV, t. 41, c. 139: «Die.vII. mensis

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