San Giovanni e la via dei Genovesi in que' pressi ne rendono ancora testimonianza. Il genovese Miliaduce Cigala, tesoriere del fisco, aveva eretto nel 1481 presso quella chiesa un ospedale pei marinari « della sua nazione », come dicevasi allora da chi, oltre la zolla natale, non sentiva Italia. Ma ben presto, dopo l'ultimo pontificato ligure di Giulio II, lo spedale scomparve e dei beni manomessi si diè colpa « al sacco di Roma » (1) che, come la rivoluzione francese, .è una delle tappe storiche, cui si fa carico anche delle *colpe che non ebbe. L'orma dei Riario, dei Cibo, dei Della Rovere sparve cosi sotto a quella dei Catalani, dei Fiorentini e dietro alla mole incalzante delle nuove fortune che in Roma s’allettarono. Che se i procedimenti de' Riario seppero di violenza e d'ardire, quelli di papa Innocenzo, pur cospirando al medesimo fine, ebbero diverso aspetto. Perseguitare gli Orsini, invece de' Colonna, pareva, come in fatto era, cosa opportuna; indebolir le fazioni, sbattere i baroni l'un contro all'altro, assoggettarli all'eguale autorità dello Stato, ridurre la vita comunale nuda d'ogni valore politico, strappare al tribunale del Campidoglio l'antica giurisdizione criminale, al popolo l'ultima reliquia del diritto elettivo, era imprescindibile necessità di chi trovava da sacerdoti suoi predecessori una brutta signoria civile mal fondata e si faceva artificiale coscienza di rassodarla e compierla. E papa Innocenzo rivolse a questa bisogna un'industria di accorgimenti sottili e fertili, propri davvero d'un mercante di San Giorgio. Non si videro più, a' suoi tempi, bande di assoldati collo stendardo delle somme chiavi scorrazzare le vie di Roma a disfare le case a' potenti cittadini. Ascoli, la terra di Muccia, Gualdo, Castel di Giove provarono essi abbastanza la soldataglia ecclesiastica. Ma anche nella provincia, il protonotario Torello non faceva tuttavia (1) NIBBY, Roma moderna, II, 240. Il Nibby chiama il Cigala « Mario ». ricordare il Vitelleschi, e Franceschetto Cibo non agguagliava Girolamo Riario che nell' ingordigia. Nè papa Innocenzo provocó a guerre; ebbe bensi a sostenerne inevitabili, più che altro per effetto della congiura dei baroni di Napoli e delle accennanti cupidigie di Francia sopra questo reame. Ma le guerre servivano al papa egregiamente per macerare la pace; dappoichè le guerre necessitavano danaro e scusavano il malo modo di trarne. E poichè non era da accrescimento delle gabelle, date per lo più tutte in appalto, che il pontefice poteva attendersi senza pericolo un significante accrescimento d'entrate, ricorse ad espedienti infelici per se stessi, ma opportuni per secondare colla mala finanza la mala politica : prezzolar la giustizia e ricorrere a quel che in quei tempi corrispondeva alle attuali emissioni di rendita, cioè la tassazione degli offici. Coloro che li comperavano, infatti, ne ricavavano uno stipendio che corrispondeva al frutto del capitale d'acquisto. « Officia - scriveva il papa - quasi beneficia quaedam tempo« ralia » (I); e il rinnovamento semestrale delle bolle con cui conferivasi la riconferma dei singoli offici equivaleva ad una ritenuta sulla rendita stessa. Ora, coll'occasione della tassazione di queste bolle, si riduceva nella giurisdizione della Camera pontificia quel che prima espressamente non ne dipendeva (2). Quegli offici ch'erano prima elettivi e che si facevano accessibili a chi pagasse e fosse accetto alla Curia, indipendentemente dall'elezione, lasciavano sentire che cosa vana fosse l'elezione a coloro che, ottenendoli per questo mezzo, dovevano poi, per esercitarli, pagar a ogni modo la tassa alla Camera pontificia. Verso l'annul (1) V. più oltre la bolla di papa Innocenzo. (2) INFESSURAE Diar. (SS. III”, 1219): « Impositaeque fuerunt « taxae omnibus officiis quarumcumque civitatum et terrarum subie« ctarum Ecclesiae et potissime officiis urbis Romae, etiam illis quae « ex tracta vel bussula crearentur, quod cives ipsi huc usque minime « passi sunt usquequaque ». lamento dell'autorità del Comune questo era un gran passo, poco avvertito. Ma, quanto alla giustizia, v'era la Curia capitolina da spodestare della giurisdizione criminale; e lo scaltrissimo Cibo seppe procacciarlo con avvedutezza, non senza pretesto di sentimenti umanitari, non senza positivo vantaggio della finanza ecclesiastica. È noto che il senatore rendeva ragione, applicando le sanzioni stabilite dagli statuti comunali. A chi percorre il testo del libro secondo di questi, occorre d'osservare facilmente la proporzione e la mitezza delle pene, ispirate in gran parte all'antico diritto, pecuniarie in gran parte, e da essere devolute alla Camera della città. Accade di rilevare altresi la rarità dei casi in cui pene corporali s'irrogano. Il procedimento stesso dei giudizi, avuto rispetto alla qualità dei tempi, è lungi dall'essere crudele. A tormenti processuali non poteva assoggettarsi se non il « publicus latro, « fractor pacis, disrobator sive stratarum violator, homi« cida, falsarius, fabricator false monete, patarenus, incen« diarius, violator mulierum, sodomita, et persona infa« mata de praedictis vel aliquo praedictorum » (1). Ora la Camera pontificia voleva far concorrenza alla Camera capitolina, e lo poteva in due modi: armeggiando contro la pena certa e pronta colla pena arbitrale e coll’indugio comperato; riscotendo gravi multe in quei casi in cui il tribunale del Campidoglio avrebbe dovuto punire il reo nella persona e non nella borsa; sottraendo all'immediata competenza del tribunale capitolino, al pericolo del carcere preventivo e della sentenza infamante, chi s'acconciava poi per danaro. Di questa condizione di cose, tanto ne' tempi de' Riario che dei Cibo, ragguaglia sovente l'Infessura nel Diario suo; e a noi sembra tutt'altro che inutile mettere a riscontro delle sue affermazioni i documenti (2). e (1) Cf. Statuta Urbis, II, 78. (2) Arch. Vat. Diversa Camer. Sixti IV, t.41, C. 139: « Die.vii. mensis Ora la prima natural conseguenza di questa lotta fra il tribunale del Campidoglio, che aveva la sua giurisdizione per antico possesso, e quello del pontefice, che sentiva di dovere vendicarla come fondamentale diritto allo Stato, era la frequenza e l'ardire dei delitti nella città e nel suburbio. «Similiter interea furta, latrocinia, rapinae, homi« cidia et sforciamenta tam in urbe quam extra fiebant, et « de his non curabatur », annota lo scribasenato. Le due « maii (1483) mandatum d. f. Dominico de Albergatis notario et vi« cecamerario nostro ac Alme Urbis gubernatori » ecc., affinchè rilasci impunito ed assoluto « absque nulla solutione Henricum Wachtel « aurifabrum in curia Sabellorum detentum ». E ibid. Sixti IV Capitul. an. 1472-76, lib. 3°, f. 253: « Pro Iuliano Cesarino. Latinus « (Card. de Ursinis) &c. Magnifico domino Alme Urbis senatori et « eius locumtenenti ac aliis omnibus ad quos spectat seu spectabit « in futurum salutem in domino. Cum superioribus mensibus nobilis « vir Iulianus de Cesarinis civis Romanus, cuius filius Prosper com« miserat certum excessum in personam honorabilis viri Iohannis « de Bonaparte Mercatoris Romanam curiam sequentis ; propterea ex « ordinatione vestra coactus fuerit, pro delicto filii, solvere camere « prefate urbis summam centum ducatorum auri. Nos ipsi Iuliano, « qui senex est, et de ipso excessu ex intimis doluit, paterne com« patientes vobis et cuilibet vestrum, prout ad unumquemque pertinet « et spectat, Auctoritate nostri camerariatus officii, harum serie man« damus, ut absque alterius mandati expectatione, cassetis cancelletis « ac super eis, in curia vestra capitolii factum et sequtam dicti Pro« speri condemnationem ac diffidationem qualiscumque sit et in qui« buscumque terminis reperiatur. Dummodo tum prius vobis consti« terit, quod ipse Iulianus, seu dictus Prosper eius filius impetraverint « et obtinuerint, a dicto Iohanne de Bonaparte offenso, pacem aut « saltem treugas ad octo vel decem annos duraturas. Non obstantibus « in contrarium facientibus quibuscumque. Datum Rome apud Montem « Iordani, sub nostri signetti impressione, Anno domini .MCCCCLXXV°. « die .xa. mensis octobris, Pontificatus etc. anno quarto. « L. Card. de Ursinis etc. manu propria. « Gaspar Blondus. « Ex ipso enim delicto absque contumatia quam remittimus scimus « non debere mediam partem sumere quam nostro iussu exsolvit ». giurisdizioni in fatti si restavano spesso inoperose luna incontro all'altra, non attentandosi l'una d'esercitar francamente l'azione sua, mentre poteva accaderle d'incontrarsi coll'altra a mezza strada; desiderando l'altra che, dalla mancanza di giustizia, sorgesse nel popolo disprezzo e sfiducia pel magistrato comunale, necessità e desiderio dell'intera azione governativa e, ad ogni modo, qualche danno. Così accade che quando Ludovico Mattei co' figli uccidono Andrea di Mattuzzo, rompendo la statutaria stipulazione di securanza, si rimangono in città, e la voce che corre è il papa aver loro permesso di restarvi, dopo aver estorto l'ammontare della pena: « extorsisse ab eis poenam stipulatam « securitatis fractae». E poc'oltre : « Si dà per vero - scrivee l'effetto lo mostra, quantunque io non ne abbia visto la bolla, che il pontefice abbia concesso a Stefano e Paolo Margano, per mezzo d'una bolla apostolica, la remissione dei delitti e omicidi commessi da essi e da loro seguaci in numero di dieci in città e fuori, quand'anche non avessero stipulato la pace cogli eredi degli estinti; con cosi pieno salvocondotto che la Curia non potesse loro dir nulla »: « ubicunque reperti essent, Curia adversus « eos non valeret dicere ». Altrettanto par che abbia fatto coi Dal Buffalo. Ma se qualche rara volta interviene all'I. di non vedere documento che comprovi il fatto allegato, pel maggior numero dei casi pur troppo gli accade di poter dire: « experientia scripsi ». Cosi Roma è piena di facinorosi che riparano, dopo i delitti commessi, alle case de' cardinali come ad asilo; l'omicidio non dà pensiero. In Campidoglio non si fa più niuna o rara esecuzione corporale; la Curia del vicecamerario sopraffà quella del Senatore, il palazzo Capitolino è vinto dalla torre di Annona (1). Falcone de' Sinibaldi, cittadino romano, proto (1) INFESSURAE Diar.: « In Capitolio nulla vel saltem rara exe« cutio corporalis fit; nisi quod per curiam d. vicecamerarii aliqui |