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numerevoli popoli per la dottrina, per l' esempio, e per i miracoli del nascente istituto, si annunzia patrocinatore de' suoi figli, e con calde lettere esorta i prelati di ogni lingua e di ogni nazione ad aversi cari i novelli missionarii, animarli e sostenerli nella santa impresa.

Più che ogni altro monumento, la suesposta lettera di papa Gregorio comprova l'origine del convento francescano di Zara. Sarebbe difficile a credere che una famiglia di Ordine appena sorto potesse nel breve periodo di ventitrè anni (dal 12 al 35), raggiungere quel grado di sviluppo e di rinomanza quale ivi si legge, se il nostro convincimento non si arrestasse nella ferma persuasione dell' esistenza di una civile coltura e di morale progredimento, superiori all'età priva di buone istituzioni, che Zara e il litorale dalmatico avevan saputo mantenere in mezzo a prepotenti ostacoli.

Contemporaneo al convento di Zara fu, come sopra dicemmo, quello di Pasmano, dedicato a san Doimo martire, discepolo di san Pietro, e apostolo della Dalmazia. All'arrivo del beato Florio, che da Zara fu colà spedito dal medesimo Santo fondatore, o secondo altri, lasciato a chiesta di quegli abitanti lungo il suo viaggio, i monaci benedettini di Tcon gli offrirono una loro casa nella quale, ridotta a uso monastico, vissero fino alla fine del quartodecimo secolo. Donna Pellegrina, figlia di Cosa de Saladini nobile zaratino, ricordevole dell'antichità di quella famiglia francescana, ammiratrice della sua vita edificante, e della venerazione che si portava alla memoria del detto beato, eresse nel 1392 un nuovo monastero sulle forme della migliore architettura serafica, quale tuttoggi si conserva, e lo regalò di varii poderi per provedere alla vita stentata dei padri della Bossina, ché, perseguitati in que' giorni dai nemici della fede cattolica, venivano a ricoverarsi su queste sponde.

La tradizione vuole che a Traù e a Spalato vi giungesse l'uomo penitente, e lasciasse grate rimembranze fra quegli abitanti. Certo è che gli uni e gli altri animati dallo spirito di

divozione verso il novello istituto, non furono secondi ad alcun altro comune nell' innalzare ospizii adattati alla vita minoritica. Il vescovo Treguano, fiorentino di patria, ma fino dall' età giovanile maestro di lettere e di grammatica alla milizia clericale di queste due città 22), appena udite le onoranze, che si tributavano lungo queste sponde ai figli di Francesco, indirizzò calde preghiere insieme ai primarii cittadini, ond' averli cooperatori nel ministero apostolico, e li ebbe ospiti e consiglieri nel suo episcopio prima della morte del Santo istitutore. Quivi le loro fatiche e la vita esemplare si videro rimunerate di un convento e di chiesa dalla liberalità e divozione di Lucio Dessa 23), nobile cittadino traguriense, il quale non avendo cessato d'onorarli e assisterli in vita, volle che, dopo la sua morte, essendo senza prole, fossero eredi di tutti i suoi averi. Senonchè, non potendo questi per legge suprema del loro istituto accettare alcuna eredità terrena, i beni di Dessa vennero affidati per cura del vescovo e del municipio ai più vicini suoi congiunti, e i redditi riservati per la manutenzione del convento e della chiesa. Nè meno antico, nè meno venerato il convento di Spalato, che nel tempo della divisione dell' Ordine rimase in possesso dei padri Conventuali. E l'una e l'altra di queste città furono prima delle altre, se eccettui Ragusa, onorate di prelati francescani; soggetti commendabili per pietà e celeste dottrina. Un frate Colombano di Arbe ebbe nel cinquantacinque la cattedra episcopale di Traù, dove le sue virtù claustrali e cittadine avevano guadagnato i cuori del clero e del popolo : nel sessantasei frate Pietro di cognome e di patria ignoti, passò dal cenobio di Spalato a quella sede primaziale, voluto dall' unanime consenso dei congregati per la nomina di un saggio pastore e l'uno e l'altro lasciarono memorie indelebili negli annali delle loro chiese, e un vivo desiderio di avere successori da que' monastici domicilii.

Quivi pure fino dal 1217 si riscontrarono i frati Minori coi Predicatori. Si legge nelle tabelle della chiesa di Spalato,

che nel detto anno il beato Gregorio dalmata, compagno di san Domenico, giunto che fu in patria, fosse stato accolto con molta cortesia da quel prelato, e col suo aiuto avesse poste le fondamenta ad un sacro edifizio, che da Ugrino suo successore, morto nel 1219, venne condotto a compimento. Ugrino, ricco signore ungherese, dapprima rettore della città di Spalato, avendo sperimentato durante la sua magistratura civile i grandi beneficii che dal concorde operare dei due ordini guadagnava la pubblica morale, appena asceso alla cattedra arcivescovile, usò tutte le sollecitudini per provvedere i nuovi cenobiarchi di abitazioni e di cose necessarie alla vita. A quest' opera aveva egli consecrata una parte del ricco suo patrimonio, ma colto dalla morte dopo un anno e due mesi del pontificato 24), i suoi disegni rimasero a compiersi dai cittadini. Ebbe però la consolazione di vedere terminato il monastero dei padri Domenicani, ed è quello che tuttodì si conserva con bella fama de' suoi alunni. Qualche traviamento di vita giovanile 25) originato dall'indiscreto uso dei grandi averi, gli fu di acerbo dolore negli ultimi anni, fomite di severe penitenze, di singolare affetto verso l'ordine domenicano, cui tanto amò, che volle il suo corpo fra que' benemeriti sepolto 26). Poco appresso desiderarono di onorare colle loro ceneri la chiesa dell' Ordine francescano di Spalato un Tommaso arcidiacono, che essendo studente a Bologna, udì predicare il patriarca di Assisi, e lasciò scritto in poche, ma robuste parole il suo ritratto; un Alberti Leone, coetaneo a Dante, ghibellino fuggiasco di Firenze, a cui la pietà dei figli pose nel 1296 una bellissima lapide funeraria, che tuttodì si vede nel chiostro di quel cenobio, la quale in origine fu collocata allato di quella dell' arcidiacono.

Le vicinanze di Scardona prima del cinquanta erano pure rallegrate dalla presenza dei figli di Francesco. Bribir, castello una volta dei conti Subich, di cui ora non v' ha altro a vedere fuori di pochi ruderi, che avvertono il passeggiero dell'antica sua rinomanza, e dell'onnipotenza dei detti signori, pos

sedeva un vasto monastero che fino dai primi anni del suo sorgere fu santificato dalla vita penitente di un pio vescovo, passato dalla cattedra pontificale al saio francescano, e più appresso dalla gloriosa morte di frate Andrea di Albania, che fu degno di essere riportato nel menelogio dei beati per gli splendidi miracoli operati fra quegli abitanti 27). Attraente era la postura del castello, e centro di un vasto territorio, seminato di spessi e popolosi villaggi, a raddrizzare i quali nella purità della fede, guasta da errori secolari, era pensiero dei conti bribiresi d'introdurvi gli operai francescani, di popolare il convento di soggetti intelligenti della favella del popolo, capaci a sostenere le fatiche della predicazione e della cura dell' anime. A tanto era giunta la fama di questi, che Bartolommeo vescovo di Scardona, tratto da quel santo esercizio di vita contemplativa ed insieme operosa, a cui spesso tornava e partiva edificato, rinunciò all' episcopato, e professò la regola 28).

Ai medesimi anni n' è riferita l'origine del monastero di Sebenico, che nel 1318, quando Mladino Subich, bano di Bossina e Croazia, intentava di cinger la città di assedio, venne uguagliato al suolo, perchè non servisse di propugnacolo alle sue armi. Tale il pio culto verso quel luogo, che due anni più tardi, si decretava nel consiglio dei cittadini di provvederneli di nuovo cenobio, in sostituzione, dice una memoria, del vecchio, atterrato nella detta circostanza con grande pregiudizio e danno delle anime di tutta la città e delle circonvicine terre. Per opera di Grisogono de Fanfogna, vescovo di quella chiesa, e per le sollecite istanze dei nobili, fu allora eretto il nuovo convento più dappresso, nell' angolo orientale della città, oggi sobborgo di Terraferma, per non privare gli abitanti dei pronti soccorsi spirituali, e i lontani di que' conforti, che l'ospitalità delle case francescane suole prestarvi 29).

Sorte non meno avventurosa ebbe la città di Ragusa, alle cui rive, come si toglie da varii suoi scrittori, il santo Patri

arca sarebbe approdato due volte: il chè però non poteva avverarsi prima del terzo suo viaggio, quando con eletta schiera di dodici compagni si diresse da Ancona per la Siria e Palestina. Così ne parla il Luccari nella sua storia patria 30): San Francesco d'Assisi che giva con la nave di traffico in Soria a Meledin re d'Egitto si ricoverò in Rausa, e la Signoria l'onorò molto donandogli le cose necessarie per viaggio. L'errore di questa data posta dall' autore nel 1223, si legge corretta dal padre Dolci e riferita all'anno 1219 31), che appunto corrisponde al suo terzo viaggio. Il medesimo Dolci non dissente però dal parere del Gondola, che vuole anteriore a questi anni il suo arrivo, aggiungendo: vi ripassasse allora sconosciuto e disprezzato 32). Una lapide, prosegue, dissotterrata verso la fine del decimosettimo secolo in un'umile abitazione, presso il collegio dei padri Gesuiti, accennava colla sua epigrafe alla dimora dell' uomo sprezzato entro quelle povere mura; la quale lapide data in custodia alle suore del Terzo Ordine, e conservata religiosamente per più anni, venne, scalpellatine barbaramente i caratteri, a far parte del selciato di una vicina chiesa. Altri ricorda come, entrato il naviglio nel porto, l' umile pellegrino discendesse nella città, e cercasse di rimanersi, durante la sosta, nascosto agli occhi del mondo; come poi riconosciuto coi compagni, andassero a gara que' cittadini nel prodigarlo di onoranze, e nel raccomandarsi alle sue orazioni 33): altri, che anche dopo gl' infausti esperimenti delle armi cristiane ripatriando toccasse questo porto, e vi ospitasse per più giorni. È fama che per tutto quel tempo s'intrattenesse col senato e coi primari cittadini in discorsi tutto celesti, che domandato della ragione di tanta possanza ed empietà delle genti saracene e delle stragi dell' esercito cristiano, rispondesse: fosse ciò ordinato da Dio per la troppo esaltata superbia de' cristiani, per le sfrenate loro passioni e vita licenziosa, per lo smarrito ossequio alle cose divine ed ai ministri della sua chiesa; che chiesto di additare il modo onde viver potessero immuni dalle mo

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