tuane denuo incidisse et ligatum fore denuntiari et publicari debere absque aliis nostris litteris quibuscunque harum serie dicta auctoritate precipimus antedictis. et, ut celerius deinceps huiusmodi periculosis presumptionibus obvietur, hac nostra constitutione perpetuo valitura volumus ac dictis patriarchis, archiepiscopis, episcopis, abbatibus, prioribus, propositis, decanis, ecclesiarum parochialium rectoribus, presbiteris et clericis etiam in virtute sancte obedientie districte iniungimus ac mandamus apostolica auctoritate, ut quamprimum de cetero contra prefatam nostram constitutionem Mantuanam, quemquam spiritu diabolico, cuiuscunque dignitatis, gradus vel excellentie etiam regalis, reginalis aut pontificalis aut alterius ecclesiastice vel secularis fuerit, sic ut prefertur, appellasse constiterit, illum mox, nullo alio apostolico expectato mandato, in ipsas penas prefate nostre constitutionis incidisse denuntient ac publicent atque denuntiari et publicari ac evitari faciant, nec non, ubi tales appellationes affixas cognoverint, illas amoveant ac ut libellum famosum de heresi condempnatum coram populo igne comburi procurent atque appellantes illos dictas penas dampnabiliter incurrisse promulgent. Preterea, cum Sathane malitiosa perversitas, mundo in maligno posito, non tam cito ab insania conquiescet, sed omnibus potius modis sancte Ecclesie unitatem subvertere molietur et quod una via prohibebitur alia contemptabit, idcirco volumus quod, si fortasse dicte nostre constitutionis metu in cassu talis subterfugii, concilium futurum non nominando, a Romano pontifice ad ei inferiorem vel futurum pontificem summum cuiuspiam iniquitas appellare presumpserit et harum appellationum pretextu per censuras et penas a iure vel apostolica Sede lata se ligatum non fore crediderit huncque errorem in censurarum contemptu, in inobedientie perfidia ostenderit, talis, etiam si regali fol. CL B reginali pontificali aut alia quavis ecclesiastica vel mundana dignitate prefulgeat, cum non minus de Ecclesie clavium auctoritate et sancte Romane Sedis obedientia quam ad futurum concilium quomodolibet appellantes male sentire sic declaretur, ut talis etiam in preinserte nostre constitutionis penas incidat eo ipso atque ita publicetur eviteturque et denuntietur ubique per predictos. Cum autem grave sit has nostras litteras originales ad omnes partes fidelium, ubi de eis neccesse fuerit, perduci, volumus similiter et decernimus quod earum trausumpta sub sigillo alicuius prelati aut officialis episcopi cum manu publica notarii subscripta ubique fidem faciant et illis stetur in iudicio ac extra ac si hec nostre originales littere exhibite fuerint vel ostensse. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostrorum declarationis, precepti, constitutionis, mandati, voluntatis et decreti infringere, vel ei ausu temerario contraire. si quis autem hoc attemptare presumpserit, indignationem omnipotentis Dei ac beatorum Petri et Pauli apostolorum eius se noverit incur surum. Datum Rome apud Sanctum Petrum anno incarnationis dominice millesimo quadringentesimo sexagesimo, quarto nonas novembris, pontificatus nostri anno tercio. B. de Ianua De curia Fuit expedita similis dupplicata scripta per D. de Piscia. Roma ed il Patrimonio di S. Pietro in Tuscia DOPO LA PRIMA SPEDIZIONE DEL BAVARO EFFIMERA vittoria del Bavaro, che non senza gravi disagi era riuscito a mettere piede, nel 1328, in Roma, e cinger, col concorso di un antipapa scismatico da lui creato, la corona imperiale (1), ed avea sollevato la marea ghibellina nel cuore degli stati pontifici, non fu senza effetto per l'autorità papale. (1) La relazione, che pubblico in appendice, indica in uno della famiglia dei Bonensi, l'autore della coronazione, e cioè Orsino degli Orsini, che fu appunto uno dei quattro sindici del popolo romano deputati alla coronazione dell'imperatore Ludovico, quando venne in Roma, il 17 gennaio 1328 (cf. GregoroVIUS, Storia della città di Roma nel medio evo, Roma, Soc. editr. 1901, III, 306 sg. n.o 46). Comunemente si ritiene che il Bavaro sia stato coronato da Sciarra Colonna, come dichiara S. Antonino (III, 321), ma nessuna documentazione sicura può fermarci sopra un nome piuttosto che un altro dei quattro sindici. Nel breve del 16 settembre 1330 di Giovanni XXII al re di Boemia si legge: « coronatus autem a quibusdam Romanis, ad quos « non pertinebat imperialis coronatio, etiam si esset coronatus « de jure » (RAYNALDUS, Annales eccles. a. 1330, n.o 27). Né credo possa attribuirsi valore assoluto alle parole del nostro relatore (<< qui coronavit Bavarum »), poiché si prestano ad una interpretazione piuttosto estensiva. È notevole però rilevare, in contrasto colla fiera requisitoria contro i Bonensi inserita nel ... Se l'imperatore ne era uscito malconcio e con vergogna, la sovranità della curia avignonese era stata largamente scossa, poiché accanto all' eresia scismatica, tentarono consolidarsi le tirannie locali, protette ma non schiave del sovrano tedesco, quanto irriducibili avversarie di più imminenti padroni impersonificati nelle persone dei legati pontifici. Come Todi ed Amelia furono i centri del risveglio ereticale (1), così Viterbo divenne la rocca della rivolta politica capitanata da Salvestro Gatti (2) per amore della propria indipendenza più che per devozione all' imperatore. L'atteggiamento della città umbra di fronte alla Chiesa non fu allora molto diverso da quello assunto pochi anni più tardi dagli Orvietani (3), prima alleati del legato contro i Viterbesi (4): l'opposizione e la rivolta ebbero in ambedue i casi la stessa ragion d'essere, fomentate e mantenute vive dall' ambizione e dall' interesse locale di un tiranno o di una ristrettissima fazione nobilesca, anche se la lotta si svolse in forme e circostanze diverse. documento, di cui ora parlerò, come poco dopo la coronazione e mentre ancora l'imperatore era a Roma, il papa scrivesse, il 28 febbraio 1328, a Bobone di Giovanni Bonense ed al fratello Alberucio, rallegrandosi con loro, siccome per molti altri, poiché erano rimasti fedeli alla Chiesa e non avevano seguito il Bavaro, « qui suis nefandis gressibus Urbem polluere <«< his diebus dampnabiliter presumpsit » (RIEZLER, Vatikanischen Akten, Innsbruck, 1899, p. 367, n.o 981). (1) Cf. FUMI, Eretici e ribelli nell' Umbria in Bull. Deput. stor. patr. umbra, IV-V. (2) ANTONELLI, La dominazione pontificia nel Patrimonio di S. Pietro in Tuscia in Arch. Soc. rom. stor. patr. XXVI, 258. (3) R. CESSI, Una relazione di Guigone da S. Germano, rettore della Tuscia nel 1340 in Arch. Soc. rom. stor. patr. XXXVI, 153 sgg. (4) ANTONELLI, op. e l. citt. pp. 261 e 265; CESSI, op. e 1. citt. pp. 152 e 180. E la resistenza, quando aperta, quando occulta, durò anche dopo il passaggio del Bavaro e mentre imperversava la reazione inquisitoriale gettatasi avidamente sulla preda ereticale, poiché continua era la forza dei partiti locali, fondati sopratutto sugli interessi personali di questa o di quella fazione. Sotto la protezione imperiale era cresciuto ed erasi consolidato il dominio di Salvestro Gatti, che avea a capo dei Viterbesi seguito il Bavaro nelle alterne vicende di guerriglie nello stato romano: ma anche dopo il ritiro di questo, il tiranno continuò, in nome del vicariato conferitogli, ad esercitare il suo potere in città, resistendo agli assalti armati delle milizie pontificie cominciati subito nel settembre del 1328 (1). La riscossa pontificia fu violenta e sistematica nelle fazioni di guerra: ma per trar frutto d'essa meglio dovea valere l'arma della secessione facile a prodursi in quella moltitudine incerta, obbediente alle aspirazioni di nobili d'opposte vedute. 4 febbraio 1329 cogli aiuti delle città guelfe, di Orvieto, Narni e Perugia, il legato pontificio, Gaetano Orsini, lanciava le sue milizie contro Viterbo, alla conquista della città, riuscendo a penetrare in essa per la porta del Pianscarano «< insino alla piazza del co« muno » (2): di sorpresa quindi, se bene interpretiamo il significato delle parole dei cronisti viterbesi, dalla quale riavutosi il supremo reggitore della città, Salvestro Gatti, ed i suoi adepti « si riferno e cacciarno «li guelfi ». « Poi fu una gran battaglia fra loro », continua il diarista viterbese, « e morti assai homini (1) ANTONELLI, op. cit. 1. cit. p. 263. (2) P. EGIDI, Le cronache di Viterbo in Arch. Soc. rom. stor. patr. XXIV, 392. Cf. pure ANTONELLI, op. cit. 1. cit. P. 264. |